Condominio

Usucapione sempre più difficile sui beni della comunione

di Paolo Accoti

Chi intende usucapire un bene comune ha l'onere di dimostrare che gli altri comproprietari sono impossibilitati ad avere rapporti concreti con il bene in contestazione, pertanto, la presenza anche di un ragionevole dubbio su tali rapporti impedisce la decorrenza del termine per l'usucapione.
La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 18351, pubblicata in data 25 Luglio 2017, conferma l'orientamento dei giudici di legittimità in materia di usucapione dei beni comuni.
Peraltro, l'anzidetto provvedimento giunge a distanza di pochi giorni dall'ordinanza resa nella medesima fattispecie dalla seconda sezione civile, che già aveva avuto modo di ricordare come «in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cass., Sez. II, 20 settembre 2007, n. 19478; Cass., Sez. II, 20 maggio 2008, n. 12775; Cass., Sez. II, 2 settembre 2016, n. 17512)».
Nel caso in esame la vicenda giudiziaria vede uno dei comproprietari avanzare domanda di usucapione, poi accolta dalla corte territoriale, nei confronti del comproprietario di un fabbricato rientrante nell'asse ereditario comune.
Proposto ricorso per cassazione dal comproprietario che aveva subito gli esiti sfavorevoli della sentenza di secondo grado culminata, come detto, con la declaratoria di acquisto per usucapione da parte dell'attore, la sesta sezione civile della Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.
La stessa riferisce che «ai fini della maturazione dell'usucapione sui beni comuni in favore dì uno dei comunisti, non è sufficiente che gli altri partecipanti alla comunione si siano astenuti dall'uso della cosa comune o abbiano tollerato o concesso che uno dei partecipanti alla comunione ne abbia fatto un uso esclusivo, essendo invece necessaria la sussistenza di una condotta da parte di uno dei comproprietari che realizzi l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva “uti dominus” e non “uti condominus”, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell'atto materiale, il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (cfr. Cass., Sez. 2, n. 11903 del 09/06/2015; Sez. 2, n. 17322 del 23/07/2010)».
In altri termini, la volontà di possedere il bene comune deve essere nota, anche se non formalmente, agli altri comproprietari, i quali inequivocabilmente devono risultare esclusi da qualsiasi tipo di legame con il bene, non essendo sufficiente la tolleranza o il consenso all'utilizzo esclusivo del bene comune da parte degli altri compartecipanti.
Nel caso concreto, continua il giudice di legittimità, «la Corte territoriale non ha verificato la sussistenza dei presupposti sopra richiamati, tanto con riferimento alla sussistenza della manifestata volontà di possedere “uti dominus” e non “uti condominus”, quanto con riferimento alla utilità, ai fini della maturazione dell'usucapione, del tempo trascorso fino alla morte della madre, comproprietaria dell'immobile unitamente al marito».

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