Condominio

Casa, per il recesso dell’acquirente serve la diffida

di Augusto Cirla

Se manca un termine essenziale per la conclusione del contratto definitivo di compravendita di un immobile, il recesso del promissario acquirente è legittimo solo se preceduto dall’invio della diffida ad adempiere entro una certa data (articolo 1454 del Codice civile), decorsa inutilmente la quale il preliminare si deve intendere risolto. Solo se rispetta questo iter il promissario acquirente ha la facoltà di chiedere, in base all’articolo 1385 del Codice civile, la restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata, senza provare di aver subito un danno dall’altrui inadempimento, né di quantificarlo.

Lo ha deciso il Tribunale di Trento che, con la sentenza 301 del 20 marzo scorso (giudice Sieff), ha respinto la doppia domanda del promissario acquirente: in primo luogo, di dichiarare l’intervenuto scioglimento del contratto preliminare di compravendita di un immobile per mancata consegna dello stesso entro il termine pattuito di comune accordo dalle parti dopo la stipula del contratto medesimo; e poi di condannare il promittente venditore a restituire in suo favore il doppio della caparra versata.

Il caso riguarda la compravendita di un immobile, in relazione alla quale le parti hanno sottoscritto il contratto preliminare, senza però fissare il termine entro il quale l’appartamento avrebbe dovuto essere consegnato al promissario acquirente. La data è stata poi individuata in circa due mesi dopo la stipula del preliminare, ma la consegna non è avvenuta entro la data stabilita. Circa tre mesi dopo la scadenza, il promissario acquirente ha quindi scritto alla controparte, assegnando un termine (circa un mese dopo) per concludere il contratto definitivo e riservandosi, se non avesse ricevuto risposta entro sette giorni, di agire in sede giudiziaria.

La vicenda è quindi finita in tribunale, che ha negato tutela all’attore perché, come si legge nella sentenza, «in assenza di un termine fissato in contratto, non è possibile affermare con precisione se e quando si verifichi l’inadempimento». Né tale termine può essere unilateralmente determinato da una parte, ma deve essere frutto di un accordo modificativo del contratto.

Inoltre, la formula usata dal promissario acquirente nell’assegnare al promittente venditore un nuovo termine per la conclusione del contratto non si può considerare una diffida ad adempiere; non ha precisato infatti che, in difetto, il contratto si sarebbe risolto (così come espressamente richiede l’articolo 1454 del Codice civile), ma si è riservato «di agire in sede giudiziaria come ritenuto più opportuno», formula che non esclude la possibilità di chiedere il coatto adempimento del contratto in base all’articolo 2932 del Codice civile (dunque il contrario della risoluzione).

Il promittente venditore è stato invece molto più attento nel riscontrare la comunicazione ricevuta: non solo ha invitato il futuro acquirente a presentarsi a data fissa presso il notaio incaricato del rogito, ma lo ha anche avvisato che il mancato rispetto del termine assegnato avrebbe comportato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita. L’inadempimento è stato quindi addebitato al promissario acquirente e la parte promittente venditrice è stata legittimata a trattenere la caparra ricevuta.

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