Condominio

Rimossa la tettoia a meno di tre metri e risarcito il danno

di Marco Panzarella e Silvio Rezzonico

Va demolita la tettoia permanente che dista meno di 3 metri dal fondo del vicino che vieta al proprietario il diritto di esercitare dalla proprie aperture la veduta «in appiombo» fino alla base dell’edificio. È quanto deciso dal Tribunale di Roma (sentenza 6 marzo 2017, n. 4479) , che ha condannato una condomina a rimuovere una tettoia in legno con copertura in pvc, posizionata a 1,40 metri dal fondo del vicino. L’articolo 907 del Codice civile dispone, infatti, che «Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri (…)».

Nella consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice, si osserva come «sia presente una struttura in legno, formata da due pilastri a sezione quadrata di 19 cm, che sorreggono un sistema di travi, sempre in legno, che vanno dalla parete dell’edificio sino alla trave principale posta sui due pilastri menzionati». Un manufatto, a dispetto di quanto dichiarato dalla condòmina chiamata in causa, secondo cui la struttura sarebbe removibile, che invece è «saldamente ancorato alla pavimentazione (...). La copertura è, quindi, da ritenersi fissa, anche se non rigida e non può essere assimilata a una tenda retrattile o a una copertura intermittente, come, per esempio, un ombrellone, ma una volta montata - e non si tratta di un’operazione semplice e rapida - è destinata a rimanere in sito in modo permanente».

Sempre a proposito della natura permanente dell’opera, per il Tribunale «dal punto di vista urbanistico, il manufatto esaminato rientra nella definizione di “tettoia” ovvero “struttura intelaiata poggiante su pilastri, stabilmente coperta, aperta su due o più lati”. Si esclude, invece, che lo stesso possa essere ricondotto alle definizioni di “pergotenda” o “pergolato”, poiché entrambe “sono caratterizzate dall’essere realizzate con strutture leggere di esigua sezione” (...)».

Il condòmino privato della veduta ha anche affermato che la scarsa distanza tra l’edificio in cui risiede e la struttura in legno “abusiva” faciliterebbe il ristagno di acque reflue e quindi cattivi odori, con presenza di insetti che infestano l’unità immobiliare. Sul punto, la Ctu ha in effetti confermato come «sul bordo inferiore della copertura si formano degli avvallamenti con evidenti ristagni d’acqua meteorica».

La struttura, inoltre, renderebbe meno sicuro l’appartamento del proprietario, in quanto «fornisce una nuova via di accesso esterna alla finestra di parte attrice posta poco più sopra».

Infine, a fronte della richiesta di risarcimento danni di parte attrice pari a 15 mila euro, il giudice ha precisato come «in siffatti casi di obiettiva e palese difficoltà di quantificazione economica del pregiudizio subito, legittima ex art. 1226 cod.civ e insindacabile, in quanto costituente esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, è la relativa valutazione equitativa, a meno che non risulti palesemente irrazionale o abnorme (Cassazione 31 marzo 2011, n. 7483)». Di conseguenza, la condanna pecuniaria è stata quantificata in 8 mila 400 euro «in ragione, cioè, approssimativamente, di cento euro per ogni mese di durata dell’abuso».

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