Condominio

Comunioni ereditarie, delibere a maggioranza vincolanti per tutti

Augusto Cirla

La comunione ereditaria si forma quando più eredi subentrano – per legge o testamento – nella proprietà di un immobile. È una particolare specie di comunione che non dipende solo dalla legge o dalla volontà del defunto, ma anche dall’accettazione degli eredi: si verifica infatti quando alla morte di una persona se ne apre la successione e l’eredità viene devoluta a più “chiamati”, che l’accettano espressamente o tacitamente.

Al pari di quel che accade nella comunione ordinaria (articolo 1100 Codice civile), in quella ereditaria non si ha l’appartenenza di beni singolarmente individuati, ma a ciascun coerede spetta sull’intero un diritto commisurato alla propria quota di partecipazione. Poiché ogni erede è titolare di una quota ideale di proprietà dell’immobile (non riferita cioè a una parte del bene materialmente e separatamente considerata), il diritto di ogni partecipante risulta quindi limitato nel suo esercizio da quello degli altri (e li limita a sua volta).

La quota rappresenta la misura della singola partecipazione e dunque delle facoltà e degli obblighi che spettano a ciascun comproprietario: a una maggior quota corrispondono maggiori diritti e doveri.

Le regole

La disciplina della comunione è innanzitutto quella espressa dalla volontà delle parti, in mancanza della quale si deve fare riferimento a quanto dettato dalla legge (articoli 1100 e seguenti del Codice civile). Le norme codicistiche affrontano fondamentalmente tre aspetti: l’attività di utilizzo, la gestione e la disposizione del bene.

Quanto all’uso, ciascun comproprietario ha la possibilità di servirsi dell’immobile comune, anche in modo particolare e più intenso, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne pari uso, secondo il proprio diritto (articolo 1102 c.c.). La gestione è tendenzialmente un’attività di carattere collettivo, essendo previsto che tutti i partecipanti abbiano diritto di concorrere all’amministrazione del bene; tuttavia, in virtù del principio maggioritario, le delibere assunte dalla maggioranza delle quote vincolano anche i dissenzienti. Per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione e per le innovazioni dirette a migliorare l’immobile comune, o a renderne più comodo e redditizio il godimento, occorre però una maggioranza qualificata: ossia il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti (le “teste”) che rappresentino almeno i due terzi del valore complessivo del bene.

Con la maggioranza dei partecipanti (calcolata secondo il solo valore della quota), i comproprietari possono delegare l’amministrazione a un terzo, determinandone i poteri e gli obblighi (articolo 1105 c.c.). Ma nulla esclude che possano stipulare accordi per regolamentare meglio le concrete modalità di utilizzo del bene: stabilendo ad esempio una fruizione turnaria, o il diritto di ciascun comproprietario di valersi liberamente soltanto di una parte dell’immobile oggetto della comunione. È proprio la legge, peraltro, che li autorizza a predisporre un regolamento per l’ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune, al fine di disciplinare le modalità d’uso, organizzazione e gestione del bene comune.

Tale regolamento può essere adottato con delibera della maggioranza dei partecipanti (calcolata secondo il valore delle loro quote) ed è vincolante per tutti; ferma la possibilità per il singolo di ricorrere all’autorità giudiziaria, qualora lo ritenga pregiudizievole per i propri diritti.

Nel regolamento può essere anche prevista una particolare disciplina per la cessione delle quote. Tuttavia, mentre nella comunione ordinaria ciascun partecipante può liberamente alienare la sua quota (articolo 1103 c.c.), in quella ereditaria – per evitare che nei rapporti tra coeredi, spesso legati tra loro da vincoli di affetto, si intromettano terzi estranei animati da intenti speculativi, che possano ostacolare soluzioni animate da spirito familiare – è previsto il diritto di prelazione. In sostanza, il coerede che intenda alienare la propria quota a un terzo estraneo dovrà notificare la proposta di vendita (completa del prezzo e delle modalità di versamento) a ciascuno dei coeredi, i quali – entro il termine inderogabile di due mesi – potranno esercitare il diritto di prelazione e acquisire la quota. A tal fine si ritiene idonea anche la forma verbale, che però potrebbe far sorgere problemi circa l’onere probatorio in caso di contestazione. I coeredi potranno sempre rinunciare al proprio diritto di prelazione, sia prima che dopo la notifica.

Il presupposto del diritto di prelazione è l’esistenza di una comunione ereditaria, che non può considerarsi cessata con la fuoriuscita di uno dei coeredi o di parte dei beni. Peraltro, la comunione ereditaria non si trasforma in ordinaria (dove la prelazione non è applicabile) per il solo fatto che l’asse comprenda un solo bene immobile o alcuni degli eredi abbiano ceduto le quote a terzi.

In assenza di comunicazione preventiva, l’eventuale alienazione a terzi potrà essere resa inefficace tramite l’esercizio del diritto potestativo di “retratto”, con cui il coerede riscatta la quota dal terzo acquirente e da qualsiasi successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria (articolo 732 c.c.). Se ci sono più coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto, la quota è assegnata a tutti in parti uguali.

L’esercizio del “retratto successorio” comporta la sostituzione del terzo acquirente con il coerede. È sufficiente che la relativa dichiarazione di volontà pervenga al venditore e al compratore. L’obbligo del pagamento del prezzo da parte del coerede “retrattante” può avvenire anche in un secondo momento, purché egli non si renda inadempiente: il mancato saldo ha infatti natura di condizione risolutiva del retratto stesso.

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