Condominio

Controlli fiscali: la prova sui conti correnti è a carico dell’amministratore

di Paolo Accoti

Gli amministratori condominiali “disattenti” con i conti correnti rischiano pesantemente anche sul piano fiscale. La Cassazione (ordinanze “gemelle” 13075 e 13076, pubblicate in data 24 maggio 2017) ha dato ragione all’agenzia delle Entrate che aveva giudicato incongruo il reddito dichiarato dal professionista proprio sulla base degli importi riscontrati sul suo conto corrente bancario, sul quale affluivano (a dire dell’amministratore) anche i contributi condominiali. Una pratica che,tra l’altro, è assolutamente illegittima a partire dal 18 giugno 2013.

Per la Cassazione l’Amministrazione fiscale, per contestare i maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati, deve limitarsi a esaminare i dati e le risultanze dei conti correnti e, viceversa, spetta al contribuente dimostrare che le operazioni bancarie effettuare non siano rilevabili ai fini imponibili. In questi casi, infatti, si determina un’inversione dell’onere della prova e il contribuente deve fornire la prova analitica, e non certo generica, della non riferibilità delle movimentazioni bancarie a fatti imponibili. E non risulta adeguata la sommaria difesa del contribuente, esercente l’attività di amministratore di condominio, basata sulla circostanza per cui i versamenti effettuati su conti correnti personali risultano riferibili al pagamento di quote condominiali da parte dei condòmini amministrati.

La vicenda nasce a seguito di avviso di accertamento in materia di Iva e Irpef e della conseguente rettifica in aumento della dichiarazione dei redditi, il contribuente proponeva due distinti ricorsi alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva le lagnanze dello stesso, alla medesima stregua della Commissione Regionale che, nel respingere il gravame avanzato dall’Agenzia delle Entrate, motivava la sentenza sulla scorta del fatto che «il contribuente avrebbe superato la presunzione di cui all’art. 32 comma 1 n. 2 D.P.R. 600/1973, come modificata dalla legge n. 311/2004 (finanziaria 2005) alla luce dei nomi indicati e della contiguità parentale», in relazione alle operazioni bancarie effettuate sul proprio conto corrente.

L’Agenzia, però proponeva ricorso in Cassazione proprio sulla considerazione che la Ctr avesse erroneamente ritenuto bastevole la mera indicazione dei nomi e dei beneficiari dei versamenti sul c/c per ritenere superata la presunzione dettata dalla menzionata norma.

La Corte di Cassazione ha dato ragione all’Agenzia e ha cassato la sentenza con rinvio ad altra sezione della Ctr di Napoli. Per motivare la decisione il Giudice di legittimità ricorda i propri precedenti per cui « in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario (...). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18081/2010».

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