Condominio

Valida l’ingiunzione di pagamento anche senza ripartizione spese

di Paolo Accoti

L'obbligo a carico del condomino di pagare la quota condominiale di competenza è insito nella gestione stessa dell'immobile, essendo connesso alla manutenzione dell'immobile e alla fruizione dei servizi comuni, pertanto, il vincolo della contribuzione sorge ancor prima dell'approvazione dello stato di ripartizione da parte dell'assemblea dei condòmini.
Lo stato di ripartizione si limita ad attestare il credito del condominio, ma non ha alcun valore costitutivo, conseguentemente, già il verbale assembleare contenente l'indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l'uso delle parti comuni, rappresenta prova scritta idonea e sufficiente per chiedere ed ottenere l'emissione di ingiunzione di pagamento a carico del condomino moroso.
Da rilevare, tuttavia, che la mancanza di uno stato di ripartizione regolarmente approvato dall'assemblea pregiudica l'ottenimento della clausola di provvisoria esecuzione di cui all'art. 63 Disp. Att. Cc, a mente del quale «per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione …».
Tanto ha statuito la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 10621, pubblicata in data 28 aprile 2017, investita della vicenda da un condòmino che si opponeva all'ingiunzione di pagamento richiesta dall'amministratore di condominio per il pagamento della quota parte relativa alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria approvate dall'assemblea.
Sia in primo che in secondo grado l'opposizione a decreto ingiuntivo veniva rigettata motivo per cui il condomino interponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1130, 1135 c.c., 63 Disp. Att. Cc e 633 Cpc., lamentando che, nonostante l'approvazione delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, l'assemblea avesse omesso di approvare anche il piano di riparto, circostanza che, a suo dire, avrebbe dovuto escludere l'emissione del decreto ingiuntivo.
La Corte di Cassazione, in virtù dell'univoco filone giurisprudenziale premette che <<a seguito dell'opposizione al decreto dunque, si dà luogo ad un giudizio di cognizione ordinaria, con onere, in assenza della delibera di approvazione del piano di riparto, per l'amministratore di provare gli elementi costitutivi del credito nei confronti del condomino anche avuto riguardo ai criteri di ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell'edificio e facoltà di quest'ultimo di contestare sussistenza ed ammontare del credito medesimo azionato nei suoi confronti>>.
Tuttavia precisa come <<l'obbligo del condomino di pagare al condominio, per la sua quota, le spese per la manutenzione e l'esercizio dei servizi comuni dell'edificio deriva dalla gestione stessa e quindi preesiste all'approvazione da parte dell'assemblea dello stato di ripartizione, che non ha valore costitutivo, ma solo dichiarativo del relativo credito del condominio. Il verbale di assemblea condominiale, contenente l'indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l'uso delle parti comuni, ovvero, come nel caso di specie, la delibera di approvazione del “preventivo” di spese straordinarie, costituisce dunque prova scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo pur in mancanza dello stato di ripartizione delle medesime, necessario al solo fine di ottenere la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento ai sensi dell'art. 63 disp. Att. c.c. (Cass. 15017/2000)>>.
Logica conseguenza di ciò, conclude la Corte di Cassazione, è che <<deve dunque escludersi che la delibera di approvazione assembleare del piano di ripartizione costituisca un presupposto processuale o una condizione dell'azione, posto che la legittimazione ad agire dell'amministratore per il pagamento della quota condominiale trova fondamento direttamente nelle disposizioni di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c.>>.
Il ricorso, pertanto, viene rigettato e il condomino condannato a pagare le spese del giudizio di legittimità.

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