Condominio

Riforma, un'analisi critica - 2. La tutela delle destinazioni d'uso

di Francesco Schena

Il secondo tema affrontato in questo percorso di analisi critica della legge di riforma del condominio è quello della tutela delle destinazioni d'uso, argomento disciplinato ad hoc dal legislatore del 2012 con l'introduzione del nuovo art. 1117-quater del codice civile.
Si tratta, tuttavia, di un tentativo alquanto debole di disciplina posto che la novella non introduce veri e propri precetti con relative sanzioni, fornendo, piuttosto, una sorta di indirizzo politico all'agire dell'amministratore e dell'assemblea con un chiaro e voluto intento generico che presto dovrà affidarsi alla giurisprudenza perché cristallizzi l'ambito di operativa applicazione.
Segnatamente, la norma prevede come, in caso di attività che incidano negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condòmini, anche singolarmente, possano diffidare l'esecutore e possano chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche ricorrendo all'autorità giudiziaria competente.
Ora, la prima “analisi critica” è rivolta al fatto che si preveda la diffida come mera possibilità e non come atto dovuto, con tutto il contrasto che questo si porta dietro rispetto al dovere generale ricondotto in capo all'amministratore di compiere gli atti conservativi ai sensi dell'articolo 1130 c.c., n. 4). Se come tali devono essere intesi tutti quei provvedimenti, anche materiali, tesi alla conservazione e tutela degli interessi inerenti le parti comuni, escludendo che si debba riferirsi esclusivamente ai canonici atti giudiziari, è evidente come l'amministratore abbia il dovere di far cessare quel comportamento che incide negativamente ed in modo sostanziale sulla destinazione della parte comune e non la semplice facoltà.
Altro aspetto di interesse è dato dall'ulteriore genericità circa la valutazione della portata dell'attività che si intende far cessare: quali sono i confini oltre i quali l'uso della cosa comune è da ritenersi negativa e sostanziale? E' evidente come spetterà all'amministratore prima e all'assemblea dopo valutare questi limiti per chiederne la cessazione ed è altresì evidente come in caso di disaccordo non resterà che rivolgersi all'autorità giudiziaria perché sia questa ad apprezzare il livello di negatività e sostanzialità della condotta.
Ma un'ulteriore contraddizione non può sfuggire ai più. Invero, il singolo condòmino può egli stesso, singolarmente, diffidare l'esecutore e questo ancor prima e senza che vi sia l'obbligo di convocare l'assemblea perché si esprima al riguardo. A questo punto, però, c'è da chiedersi, preliminarmente, quanto possa valere la diffida del singolo ove disattesa dall'esecutore e nel caso in cui l'assemblea non deliberi. Ma non solo. E cosa accade se l'assemblea non delibera la cessazione non perché non ritenuta negativa e sostanziale ma unicamente perché non si costituisce validamente per deliberare per semplice disaffezione o disinteresse della maggioranza dei condòmini? Appare chiaro che questo costringerebbe anche la minoranza a dover sopportare l'attività negativa e questo in aperto contrasto con le limitazioni di cui all'articolo 1102 del codice civile che, al contrario, garantisce il parimenti uso e la salvaguardia della destinazione della cosa comune.
E' evidente, allora, che la novella si riferisce a qualcosa che non è già regolato, né dall'artioclo 1102, né dal 1130 poiché, diversamente, le contraddizioni sarebbero lapalissiane.
Proviamo a pensare, dunque, ad un caso concreto: il condòmino Rossi abbandona la sua autovettura nel parcheggio comune, priva di targhe e copertura assicurativa. Si tratta di una attività negativa che incide in maniera anche sostanziale sulla destinazione dell'area a parcheggio? Secondo una certa giurisprudenza questo comportamento integra la modificazione della destinazione d'uso da parcheggio a deposito e quindi si tratta di condotta vietata che l'amministratore deve far cessare senza alcuna preventiva delibera assembleare.
Pensiamo, adesso, ad un secondo caso concreto: sempre il condòmino Rossi, questa volta utilizza l'acqua del giardino comune per lavare la sua autovettura alla domenica mattina. Si tratta di una attività che incide negativamente e in mnaiera sostanziale sulla destinazione d'uso di quel bene? Potrebbe esserlo, atteso che l'attività posta in essere non cambia in maniera concreta la destinazione d'uso del punto di erogazione ma incide negativamente sul suo impiego.
Anche in questa breve analisi critica l'unica considerazione indubbia è che ancora una volta il tentativo del legislatore di abbattere il contenzioso sia fallito. Forse sarebbe stato il caso di scrivere meglio questa norma rendendola di più facile interpretazione e di più agevole applicazione. O bastava semplicemente evitarla.
Francesco Schena

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