Condominio

Guida all’assemblea - 10. Il giudizio di impugnazione

di Rosario Dolce

L'impugnazione di una delibera assembleare deve rivestire la forma dell'atto di citazione di cui all'articolo 163 codice di procedura civile (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 8491/2011). Il legislatore della riforma ha recepito l'orientamento giurisprudenziale espungendo la parola “ricorso” dall'articolo 1137 codice civile.
Il procedimento giudiziale che ne deriva è strettamente vincolato ai motivi di gravame spiegati nell'atto introduttivo del giudizio e mira ad ottenere l'emissione di un provvedimento giurisdizionale teso a rimuovere la validità e l'efficacia della statuizione assembleare.
Le delibere assembleari sono state assimilate ai “contratti” tra privati, in quanto a disciplina sostanziale, per cui la giurisprudenza e la dottrina ritengono che il giudice del gravame sia tenuto a rilevare l'eventuale invalidità delle stesse alla stregua dell'articolo 112 codice di procedura civile., vale a dire in ragione del principio della corrispondenza tra il “chiesto e pronunciato”.
Ogni motivo di impugnazione di delibera condominiale si risolve in un titolo autonomo e, quindi, in una domanda autonoma e distinta rispetto le altre. La richiesta formulata, in corso di causa, da parte del condòmino tesa a chiedere l'invalidazione della delibera impugnata per motivi diversi o ulteriori rispetto quelli dedotti inizialmente, configura un mutamento dell'iniziale causa petendi in sé inammissibile.
Allo stesso modo, il condòmino impugnante non è in grado di modificare le ragioni di invalidazione della delibera impugnata in sede di appello, perché altrimenti finirebbe per esercitare una domanda nuova, in quanto tale parimenti inammissibile (tra le tante, cfr, Cassazione civile 4271947; 740/2007; 1378/199).
La citazione del condominio in giudizio si concretizza nell'invito a prendervi parte, onde dedurre sul merito delle ragioni che hanno spinto il condòmino ad impugnare la delibera assembleare di che trattasi e a ritenere che la stessa sia invalida.
L'amministratore di condominio, in base al disposto dell'articolo 1131 codice civile, comma 2 e 3, è in grado di costituirsi in giudizio senza autorizzazione da parte dell'assemblea dei condòmini. Dovrà, in tal caso, ottenere la ratifica postuma del suo operato per evitare di incorrere in una pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione, laddove si controverta in materia esorbitante le rispettive attribuzioni.
Nel ventaglio di ipotesi difensive da elaborare, per poter efficacemente contrapporre la pretesa di invalidazione del deliberato, il condominio può, a norma del comma 2 dell'articolo 167 codice civile, decidere di costituirsi in giudizio venti giorni prima dalla data d'udienza è formulare eventuale “domanda riconvenzionale”.
Per “domanda riconvenzionale” intendiamo quella che dipende dal titolo dedotto in giudizio dall'attore – delibera - o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione (cosi recita l'articolo 36 codice di procedura civile). Si pensi al caso di impugnazione di una delibera assembleare avente ad oggetto l'approvazione di un rendiconto, all'interno del quale sono state declinate le singole posizioni di morosità dei condòmini, e uno di questi abbia impugnato la statuizione proprio per mettere in discussione l'esito della ripartizione suddetta. Ebbene: il condominio convenuto, in una simile situazione, dopo aver dedotto, in via principale, la perfetta legittimità della statuizione, potrebbe integrare la propria difesa spiegando una “domanda riconvenzionale” avverso il predetto condòmino-attore, tesa a chiedere la condanna del medesimo al pagamento delle somme ivi riportate.
Non è però sempre possibile consentire al condominio-convenuto l'ampliamento del thema decidendum vel disputandum. Sono, in genere, ritenute inammissibili le “domande riconvenzionali” che, tendendo alla realizzazione di un nuovo assetto dei diritti dei partecipanti e attenendo alla consistenza della sfera condominiale, sono assolutamente estranee al titolo dedotto in giudizio (Tribunale di Roma 23 dicembre 1964).
Di particolare pregio e rilievo è poi l'eccezione di decadenza dal diritto di impugnare la deliberazione, che il condominio è in grado di spiegare in seno al proprio atto costitutivo in giudizio contro l'azione di gravame esperita da parte del condòmino.
L'articolo 1137 codice civile, invero, stabilisce che contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendo l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni […].
Nel caso in cui il condòmino impugnante, al fine di far valere un vizio di annullamento, procede oltre termine legale lo stesso potrebbe essere dichiarato decaduto dal diritto di gravame. In effetti, siffatta decadenza dovrà essere eccepita specificatamente da parte del condominio nell'atto di costituzione in giudizio. Trattandosi di una decadenza comminata dalla legge è pacifica l'adduzione per la quale si tratti di un'eccezione in senso stretto, cioè di una contestazione riservata alla parte che, in quanto tale, non può essere rilevata d'ufficio da parte del giudice del gravame.
L'individuazione del “giudice del gravame” è un altro degli aspetti preliminari da tenere in considerazione per la corretta instaurazione del procedimento di che trattasi.
In particolare, il giudice competente a decidere una controversia avente ad oggetto l'impugnativa di una delibera assembleare si individua ratione valoris (Cassazione Civile 14078/1999). Laddove il valore della controversia sia pari o inferiore a cinque mila euro, l'Ufficio competente a statuire sul merito è il Giudice di pace, viceversa è il Tribunale (articolo 7 codice procedura civile).
La regola sembra però soffrire però di una eccezione. L'ufficio del Giudice di pace sarebbe invero competente per materia a trattare le impugnative della delibera assembleare laddove afferenti questioni relative alla “misura e alla modalità d'uso dei servizi condominiali” di cui all'articolo 7 del Codice di procedura civile.
L'impugnazione della delibera non importa la sospensione dell'efficacia della stessa automaticamente. Occorre una specifica richiesta giudiziale formulata da parte dell'attore/condòmino impugnate. Questa può essere contenuta in seno l'atto di gravame di cui all'art. 1137 Codice civile, oppure può essere formulata a parte, con specifico ricorso cautelare (il quale procedimento non è assoggettato al tentativo preliminare della mediazione civile e commerciale).
Così configurato, dal punto di soggettivo e oggettivo, il procedimento di impugnazione, a questo punto, sarà compito del giudice pronunciarsi sul merito dei singoli motivi di gravame, ovvero sulle eccezioni in senso stretto e/o sulla domanda riconvenzionale formulata da parte del condominio convenuto.
Il procedimento di gravame in disamina postula un giudizio di legittimità e non di merito. Ciò vuol dire che il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere dell'assemblea di condominio non può estendersi al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea, ma deve limitarsi al riscontro della mera conformità alle prescrizioni normative invocate da parte del soggetto impugnante (tra le tante, Cassazione civile, 6 aprile 1995, n. 4009).
Per contro, va detto, che la delibera assembleare può essere parimenti invalidata per abuso o eccesso di potere solo quando, anche se adottata nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitraria e fraudolentemente preordinata al solo perseguimento, da parte della maggioranza, di interessi diversi da quelli della compagine oppure volutamente lesivi degli interessi degli altri condòmini, in quanto minoranza, (in punto, cfr, Cassazione civile 6361/2003).
Infine, va detto, che nonostante la pendenza di un giudizio di gravame come quello in specie, il Condominio mantiene il diritto di procedere, in via di autotutela, alla sostituzione della decisione impugnata con altra diversa e regolare.
In materia condominiale trova applicazione, in virtù di estensione analogica, la previsione dell'articolo 2377 Codice civile, a mente del quale: “L'annullamento della deliberazione non può avere luogo, se la deliberazione impugnata è stata sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno. Restano salvi i diritti acquisti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita”.ttp://www.quotidianocondominio.ilsole24ore.com/art/il-condominio/2017-03-16/la-sopraelevazione-non-e-un-innovazione-e-non-richiede-consensi-211644.php?uuid=AE4tVzn

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