Condominio

No al «dissenso» sulle liti se le ha avviate l’amministratore

di Paolo Accoti

Il condòmino non può tirarsi indietro nelle liti giudiziarie avviate dall’amministratore e non deliberate direttamente dall’assemblea.

La Corte di cassazione, nella sentenza n. 7095 pubblicata il 20 marzo scorso ha infatti spiegato che qualora non sia stata l’assemblea a deliberare la lite attiva o passiva, il singolo condòmino non può utilmente dissentire dalla lite, essendo lo stesso soggetto alla regola maggioritaria. Esiste infatti un casistica, abbastanza ampia, di liti avviate legittimamente dall’amministratore: nei limiti delle attribuzioni conferite dall’articolo 1130 del Codice civile, ovvero dal regolamento di condominio o, ancora, dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza del condominio e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi. In particolare, quando deve agire a difesa dei beni di proprietà comune, può procedere o resistere in giudizio anche senza preventiva autorizzazione assembleare.

La vicenda giudiziaria, iniziata dinnanzi al Giudice di pace di Roma e proseguita al Tribunale capitolino, riguardava una controversia per la quale una condòmina si lagnava della circostanza per cui l’amministratore avrebbe omesso di comunicare all’assemblea la pendenza della lite giudiziaria e che, in dipendenza della suddetta omissione, la stessa non avrebbe potuto prestare il proprio dissenso alle liti subendo, quindi, gli effetti sfavorevoli della sentenza in relazione alle spese legali da pagare. Ma, dopo i giudizi di merito, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Nelle motivazioni la Corte spiega che «nel condominio negli edifici, va osservato che l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. n. 1451/14)».Pertanto, l’opposizione nel giudizio sull’impugnativa delle delibere assembleari rientra nelle attribuzioni dell’amministratore, «indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell’art. 1131 c.c.».

Conseguentemente, in tali casi, «non si versa nell’ipotesi dell’art. 1132, primo comma, c.c. Com’è noto, tale ultima disposizione, tesa a mitigare gli effetti della regola maggioritaria che informa la vita del condominio, consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sé le conseguenze dannose di un’eventuale soccombenza. Dunque, ove non sia stata l’assemblea a deliberare la lite attiva o passiva ai sensi del predetto art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria. In tal caso egli può solo ricorrere all’assemblea contro i provvedimenti dell’amministratore, in base all’art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa (nei limiti temporali, è da ritenere, previsti dall’art. 1137 c.c., richiamato dall’art. 1133 c.c.)».

Quindi, per quanto concerne l’impugnativa delle delibere assembleari, trattandosi di materia rientrante nelle attribuzioni proprie dell’amministratore ex art. 1131 Cc - anche a prescindere dall’oggetto della delibera impugnata -, questi può resistere in giudizio, ma anche proporre il conseguente gravame, senza necessità alcuna di autorizzazione assembleare. Fermo restando che il condomino dissenziente può sempre avanzare le sue rimostranze in sede di approvazione del rendiconto, comunque soggetto all’approvazione assembleare.

Solo in caso si formi una delibera assembleare, quindi, il condomino, ai sensi dell’articolo 1132 del Codice civile, con atto notificato all’amministratore entro trenta giorni, decorrenti da quando ha avuto notizia della deliberazione assembleare in tale senso, può sempre dissentire, separando pertanto la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza.

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