Condominio

In caso di lavori su strada gravata da servitù si paga in proporzione al vantaggio ottenuto

di Edoardo Valentino

I rapporti di vicinato sono tra le situazioni del diritto civile che numericamente sono più suscettibili di sfociare in una lite giudiziale.
La ragione è da ricercarsi nella vicinanza delle parti e nella difficoltà che si incontra a causa del quadro legislativo lacunoso di determinare con certezza l'esito di alcune controversie senza l'intervento di un giudice o di un perito.
Uno dei casi più forieri di situazioni di conflitto è da ricercarsi nelle servitù.
La servitù prediale è quella situazione giuridica nella quale un fondo (denominato servente) è costretto a patire l'ingerenza di un altro fondo (anche detto dominante) che, in ragione di un titolo, è libero di utilizzare tale proprietà alla stregua di un bene proprio.
Esistono svariati tipi di servitù, tuttavia oggetto del presente scritto è la tipologia di servitù denominata “di passaggio”, ossia quella nella quale il fondo servente è costretto a permettere il passaggio ai proprietari del fondo dominante sulla sua proprietà.
Tale servitù deve essere trascritta nei pubblici registri ed è piuttosto pacifica come modalità di attuazione.
Permangono però alcuni dubbi in materia di spese.
La sentenza numero 6653 depositata il 15 marzo 2017 dalla VI Sezione della Corte di Cassazione argomenta un importante principio in materia di rapporti di vicinato e servitù.
Nella controversia succitata un condominio era proprietario di una strada di collegamento con la pubblica via.
Tale strada, però, era oggetto di servitù di passaggio di altri condomìni siti sulla stessa, i quali avevano quindi caratteristica di fondi dominanti.
La controversia principia quando il fondo servente compie alcune spese sulla strada, utili alla manutenzione e al consolidamento della stessa, e domanda il rimborso della quota di ognuno dei fondi serventi.
Detta domanda veniva rigettata in primo grado e appello, ove il giudice aveva modo di affermare che – ai sensi dell'articolo 1069 c.c. – il principio in ragione del quale “il titolare del fondo servente non ha alcun obbligo di legge ad eseguire sul proprio immobile le opere necessarie per l'esercizio della servitù, e che lo stesso non può, peraltro, servirsi di tale norma per far gravare sul titolare del fondo dominante (che pur ne tragga vantaggio) le spese di manutenzione della sua proprietà”.
La Corte d'Appello quindi basava la propria decisione sull'interpretazione letterale dell'articolo 1169 del Codice Civile che afferma che “Il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservare la servitù, deve scegliere il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente.
Egli deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge.
Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi”.
Il condominio soccombente, quindi, ricorreva in Cassazione, domandando la revisione della predetta decisione.
La Corte affermava come il principio utilizzato dalla Corte d'Appello per emettere la propria decisione fosse stato non corretto.
In particolare è pur vero che la norma afferma che il proprietario del fondo dominante ha il diritto di eseguire le opere necessarie per conservare la servitù, operando a sue spese, mentre non ha l'obbligo ex lege di eseguire sul fondo servente le opere necessarie per l'esercizio della servitù, ma non si può escludere l'applicazione del III comma del citato articolo 1069 del Codice Civile che specifica che in caso di lavori che giovino al fondo servente, questi debbano essere corrisposti da entrambe le parti, in proporzione ai vantaggi conseguiti tramite la realizzazione dei lavori.
All'esito della sentenza, quindi, la Cassazione accoglieva il ricorso e rinviava ad un'latra sezione della Corte d'Appello per una nuova decisione con l'indicazione di uniformarsi al seguente principio “agli effetti dell'art. 1069 c.c., comma 3, allorchè il proprietario del fondo servente abbia eseguito su quest'ultimo, sia pure nel proprio interesse, opere necessarie alla conservazione della servitù, le relative spese devono essere sostenute sia dal proprietario del fondo dominante che da quello del fondo servente in proporzione dei rispettivi vantaggi”.
Il principio richiamato dalla Corte di Cassazione, quindi, è quello dell'equità, ossia tentare di ottenere una sostanziale equità tra il godimento delle parti comuni e l'onere economico richiesto, per evitare situazioni di squilibrio e di arricchimento ingiustificato di una delle due parti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©