Condominio

Mini-condominio, serve l’unanimità

di Patrizia Maciocchi

Nel condominio minimo composto da due soli condòmini, se non si raggiunge un accordo in assemblea non resta che rivolgersi al giudice. La Cassazione (sentenza 5329/2017) respinge la tesi del ricorrente, secondo il quale il Tribunale aveva sbagliato nel ritenere nulla o inesistente la delibera perché assunta solo da lui, visto che la zia, altra comproprietaria, aveva disertato l’assemblea.

Il Tribunale, per la Cassazione, avrebbe confuso il concetto di unanimità con quello di totalità, l’unanimità richiesta dalla giurisprudenza, ai fini della validità delle delibere del condominio minimo, si può formare non solo in caso di accordo tra i due partecipanti, ma anche quando, come nel caso concreto, la decisione è assunta dall’unico condòmino comparso all’assemblea regolarmente convocata. Per la difesa la delibera era stata adottata all’unanimità degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dal Codice civile (articolo 1136). Al massimo, concede il ricorrente, si potrebbe parlare di delibera annullabile con una tempestiva impugnazione, che non c’era stata.

Per la Suprema corte non è così. La Cassazione ricorda che nel “mini” condominio, anche se formato da due soli partecipanti su beni comuni nella stessa proporzione, le regole del Codice sul funzionamento dell’assemblea si applicano se a questa partecipano entrambi i comproprietari che deliberano con decisione unanime. Mentre se le decisioni sono discordanti o c’è un solo partecipante, la sola via per uscire dall’impasse e quella giudiziaria.

Nello specifico il ricorrente è stato - sottolinea la Corte - certamente diligente nel tentare la prima e più semplice soluzione di convocare la zia per discutere dei lavori al fabbricato. Ma avrebbe dovuto poi prendere atto della situazione di stallo che si era creata a causa dell’assenza della parente “ribelle”. Il ricorrente aveva l’onere di azionare il procedimento camerale, previsto dall’articolo 1105 del Codice civile, lasciando che fosse l’autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, compresa la nomina di un amministratore.

La Cassazione fa pagare al ricorrente il contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione oltre alle spese. Non accoglie però la richiesta di condanna aggravata, fatta dal Pm che sollecitava un maggior utilizzo dello “strumento”, poco usato(solo sei condanne aggravate dal 2006 al 2015 a fronte di migliaia di ricorsi inammissibili o manifestamente infondati). Una mano più pesante che potrebbe indurre molti avvocati a desistere da ricorsi «frettolosamente o incautamente proposti». Per la Cassazione però non è questo il caso: la disciplina del condominio minimo non è di semplice soluzione e la giurisprudenza sul punto elaborata.

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