Condominio

Guida all’assemblea - 7. Gli ambiti della delibera

di Rosario Dolce

Negli atti giudiziali o nel discorrere comune si parla di impugnare il “verbale” o anche l'“assemblea” del condominio, non anche il prodotto di questi due “presupposti”: vale a dire la delibera assembleare.
La delibera può essere definita come ciò che nasce dall'incontro di più volontà manifestatasi in sede assembleare in virtù del principio maggioritario.
La delibera come atto collettivo e collegiale prescinde, dunque, dalle manifestazioni di voto espresse dai singoli condomini, le quali, in quanto tali e seppur eterogenee, in essa si fondono e trovano un equilibrio perfetto.
Il contenuto delle delibere deve essere naturalmente contestualizzato nell’ambito delle attribuzioni riconosciute dalla legge all'assemblea dei condòmini (si veda l’articolo 1135 del Codice civile). Nondimeno, visto il tenore esemplificativo assolto dall'elencazione normativa, si può riferire che l'assemblea dei condòmini è in grado di deliberare su qualsivoglia materia purché la stessa non assolva finalità extracondominiali.
La statuizione assembleare, indipendentemente dal suo contenuto, è sempre provvista di efficacia esecutiva, da cui discende l'obbligo da parte dei condòmini e/o dell'amministratore di darvi prontamente seguito.
L'obbligatorietà della delibera, espressamente prevista dall'articolo 1137 codice civile (primo comma), comporta l'automatica operatività della stessa fino all'eventuale sospensione del provvedimento nel giudizio di impugnazione, ai sensi del secondo comma del citato articolo.
L'esame del contenuto di un deliberato, laddove oggetto di censura, va condotto attraverso analisi ermeneutica, richiamando i canoni di cui all'articolo 1362 codice civile, in tema di interpretazione della volontà dei contraenti; e, quindi, privilegiando l'elemento letterale. Ove questo poi si appalesi insufficiente, ricorrendo ai criteri intrepretativi sussidiari (sistematico, teleologico, e cosi via).
Talvolta il carattere di una delibera è ben lungi dal rasentare una decisione vera e propria è assolve, invece, valore programmatico.
Si dovrebbe escludere l'interesse ad agire – di cui all'articolo 100 codice di procedura civile - in capo ai condòmini rispetto l'impugnazione di tali statuizioni, nella misura in cui esse esprimono un intendimento da porre in essere in modo postumo, dunque, non contengono alcuna “attuale” decisione di sorta (si pensi al caso in cui l'assemblea decida di rimandare la nomina del tecnico all'accertamento di dati requisiti).
Al pari non sembra suscettibile ad essere assoggettabile ad azione di gravame la “delibera a contenuto confermativo”, ovverosia quella decisione che avalla una determinazione precedentemente assunta.
Viceversa, nel caso in cui l'assemblea dei condòmini deliberi in merito alla conferma o meno del precedente deliberato, enucleando espressamente l'ipotesi della “revoca”; potrebbe sorgere l'interesse ad impugnare in capo ai condòmini che originariamente ebbero a votare favorevolmente, dato che, in fin dei conti, gli stessi i hanno ritenuto opportuno riesaminare la materia per decidere di conseguenza anche soluzioni alternative a quella originariamente adottata.
L'interesse ad impugnare va valutato anche in funzione delle delibere cosiddette “esecutive”, quelle volte a stabilire le modalità per dare luogo all'applicazione di una precedente determinazione. In linea teorica tali delibere non dovrebbero essere suscettibili di impugnazione, a meno che non stabiliscano azioni esorbitanti lo stesso ambito di rilievo condominiale (si pensi ad un indebita intromissione all'interno di una proprietà privata, senza alcuna preliminare autorizzazione da parte del proprietario).
Più difficile è invece valutare l'impugnabilità di una “delibera negativa”. In particolare, si discorre di “delibera negativa” ogni qual volta l'assemblea dei condomini, rispetto a un dato argomento posto all'ordine del giorno, “decide di non decidere”.
In via astratta, si potrebbe ritenere che rispetto a una decisione del genere non sussista alcun interesse ad impugnare; in realtà, non sono rare le ipotesi in cui tale interesse non pare affatto affievolito; anzi, molti studiosi ritengono che, in date circostanze, tali deliberazioni suscettibili di impugnazione (si veda il volume di Alberto Celeste “L'impugnazione delle delibere del condominio”, Gruppo24ore, Ed. 2010). Si pensi, ad esempio, alla delibera negativa espressa dall'assemblea rispetto l'esecuzione di opere ritenute tecnicamente improcrastinabili per la sicurezza comune.
In una simile fattispecie, viene argomentato che l'interesse ad impugnare, di cui all'articolo 1137 codice civile, si concretizza nel diritto a ricorre in giudizio al fine di ottenere una provvedimento che supplisca alla manifestazione di volontà “negativa” dell'assemblea. In altri termini, si riconosce il diritto di un condòmino ad impugnare una delibera avente contenuto negativo nel caso in cui lo stesso, nel medesimo giudizio o in altra sede, chieda parimenti l'accertamento del proprio diritto negato (si pensi, ad esempio, al diritto al distacco dall'impianto di riscaldamento).

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