Condominio

Il possesso dello spazio va provato dall’origine

di Paola Pontanari

Rivendicare la proprietà si può ma solo con la prova (anche risalendo ai propri danti causa) dell’acquisto a titolo originario del bene oggetto della controversia. Lo afferma la Cassazione (sezione II, relatore Antonio Scalisi) con la sentenza n. 27366/2016 sul diritto di una vicina di occupare una piccola striscia con dei vasi di fiori, dopo vent’anni di liti.

In particolare, chi viene chiamato in causa non ha l’onere di fornire alcuna prova, mentre chi agisce in giudizio per dimostrare il possesso di un piccolo basamento davanti alla propria abitazione deve fornire la cosiddetta probatio diabolica (alla lettera, significa, prova del diavolo, nel senso che non vi sono prove per dimostrare che il diavolo esista ma neppure che non esista). In relazione a un bene immobile, colui che afferma di esserne proprietario e desidera che il bene stesso gli venga restituito da chi lo detiene o lo possiede dovrà provare la sua proprietà non solo in base ad un valido titolo di acquisto, ma anche che ha ricevuto questo diritto da chi a sua volta era proprietario e così anche per il precedente proprietario fino a giungere al primo e incontestabile proprietario da cui è sorto a titolo originario il diritto di proprietà in contestazione. Questa prova può essere “attenuata” nel caso in cui chi rivendica la proprietà ne dimostri l’usucapione attraverso il possesso ininterrotto, con quello dei danti causa, per 20 anni o per 10 anni, se si tratta di possesso in buona fede. Dal punto di vista processuale, il proprietario non deve essere in possesso della cosa che vuole recuperare.

La Cassazione ha quindi cassato (con rinvio) la sentenza della Corte d’appello di Torino che non aveva tenuto conto di questi princìpi.

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