Condominio

La comproprietà si chiarisce con i titoli

di Cesare Trapuzzano

Con la sentenza n. 1210 del 18 gennaio 2017 la seconda Sezione della Cassazione civile (estensore Antonio Scarpa) ha individuato come provare la comproprietà di un terrazzo posto al primo piano di uno stabile condominiale, da cui abbiano accesso i proprietari di due appartamenti, di fatto goduto soltanto da uno di essi, il quale vi abbia pure realizzato un manufatto.

In questi casi l’azione deve essere qualificata come rivendicazione della proprietà, ai sensi dell’articolo 948 del Codice civile, poiché l’attore ha agito per ottenere - previo accertamento della comunione - il recupero della piena utilizzazione del bene e il ripristino della situazione dei luoghi, mediante la demolizione del lucernaio costruito dal convenuto che ne pregiudicava l’utilizzo, ovvero allo scopo di conseguire un provvedimento che consentisse l’esercizio dei poteri spettanti ai comunisti nell’uso del bene e quindi disponesse la modifica dello stato di fatto .

Dalla qualificazione dell’azione discende che occorre fornire la prova del titolo risalendo con la sequela degli acquisti a titolo derivativo (tra vivi o per eredità), fino al soggetto che abbia acquistato in via originaria (oppure dimostrando il compimento dell’usucapione mediante il cumulo dei successivi possessi). Non è, per contro, sufficiente la semplice menzione della proprietà nell’atto di acquisto dell’immobile.

La pronuncia aggiunge che l’onere della «prova diabolica» è comunque richiesto ogni volta che sia proposta un’azione trovi il proprio fondamento comunque nel diritto di proprietà, del quale occorre che venga data la piena dimostrazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©