Condominio

Il titolare paga per il cattivo odore

di Patrizia Maciocchi

È tenuto a risarcire le persone offese il legale rappresentante dell’azienda che “produce” gas maleodoranti, anche se le emissioni sono nei limiti di legge. La Corte di cassazione, con la sentenza 2240/2017 del 18 gennaio, respinge il ricorso del titolare di una società a responsabilità limitata, contro la decisione del tribunale di condannarlo alla pena dell’ammenda e al risarcimento della parti civili, da stabilire in separata sede.

Il ricorrente, condannato per il reato di getto di cose pericolose (articolo 674 del Codice penale) riteneva di essere nel giusto. La fabbrica, finita nel mirino per le “esalazioni”, era situata in una zona artigianale, le emissioni olfattive provenivano da un impianto autorizzato, rientravano nei limiti previsti dalla legge ed erano il risultato della lavorazione a caldo di prodotti plastici, contemplati dall’allegato al testo unico ambientale. Per il titolare dell’azienda, trattandosi di composti organici, era ovvio che non poteva trattarsi di sostanze inodori. Inoltre il legale rappresentante contestava la condanna perché basata solo sulle testimonianze delle parti offese, in particolare due, mentre altre persone che abitavano nei pressi dell’impianto non si erano lamentate.

Secondo la difesa, l’immissione autorizzata di determinati tipi e quantità di sostanze volatili, comprenderebbe, negli stretti limiti “legali” anche la “produzione” di odori percepibili perché, una diversa conclusione, sarebbe in contrasto con la ragionevolezza: l’ordinamento permetterebbe un comportamento per poi punirlo.

Per finire, secondo il ricorrente l’unico criterio da utilizzare, oltre a quanto previsto dalla legge, sarebbe il criterio della «normale tollerabilità» dettato dall’articolo 844 del Codice civile. Una strada che imporrebbe di verificare se esistono accorgimenti tecnici trascurati o se, invece, le stesse persone offese sono troppo “sensibili”.

La Cassazione respinge il ricorso. I giudici della terza sezione penale ricordano che anche nel caso di impianto autorizzato, il reato di getto di cose pericolose per emissioni olfattive è sempre comunque configurabile, perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori.

La regolarità dell’impresa non è dunque in automatico una scriminante. Né passa la tesi dell’“incoerenza” dell’ordinamento che punisce ciò che al tempo stesso consente, visto che l’attività autorizzata può essere realizzata «con modalità tali da garantire grazie all’adozione di puntuali accorgimenti tecnici, il mancato prodursi di emissioni moleste o fastidiose». In assenza di una normativa statale, la Cassazione, in fatto di cattivi odori, ritiene inadeguato a proteggere l’ambiente e la salute umana il criterio della «normale tollerabilità» , individuando invece la tutela nel principio della «stretta tollerabilità».

Per finire, il reato di getto di cose pericolose, può legittimamente essere riscontrato sulla base delle sole testimonianze delle persone offese, senza accertamento tecnico. Il giudice può, infatti, concludere per la sussistenza del reato ascoltando solo alcuni “interessati”, a prescindere dal fatto che altri, pur coinvolti nel fenomeno, non l’abbiano percepito affatto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©