Condominio

L’amministratore agisce in difesa di tutti i beni comuni, anche se non elencati nel 1117

di Edoardo Valentino

Con la sentenza 133 del 5 gennaio 2017 la II Sezione della Cassazione esprime alcuni importanti principi in materia di litisconsorzio del condominio e legittimazione passiva dell'amministratore.
Il giudizio di merito a monte della questione vedeva contrapposte le parti seguenti: una parte rivendicava la proprietà di un appartamento sito in un condominio, la seconda si affermava mera locataria (inquilina) dell'appartamento, ma specificava come il suo locatore non fossero coloro che avevamo promosso il contenzioso e ne chidevano l’allontanamento, bensì il condominio al quale lei versava regolarmente affitto e spese relative alla locazione.
Si costituiva in causa lo stabile (compiendo un intervento volontario nel giudizio) affermando come l'appartamento fosse di proprietà condominiale e quindi un bene comune dello stabile stesso.
Il Tribunale, all'esito del giudizio, emetteva sentenza con la quale dava ragione all'attore e condannava la locatrice e il condominio al risarcimento dei danni.
Il condominio proponeva quindi appello a questa decisione, insistendo nella proprietà comune dell'appartamento e quindi lamentava un vizio nel processo di primo grado consistente nella mancata evocazione in giudizio di tutti i condòmini.
Tale domanda veniva accolta dalla Corte d'Appello. I pretesi propreitari ricorrevano quindi in Cassazione, sostanzialmente domandando la nullità della sentenza di Appello sulla base dei seguenti motivi.
In prima battuta i suddetti lamentavano come l'intervento in giudizio del condominio nel primo grado di giudizio avesse carattere meramente adesivo, ossia di sostegno alla difesa della parte convenuta, e non fosse quindi qualificabile come intervento autonomo (e quindi portatore di una propria posizione indipendente dalle altre parti in causa).
Inoltre, sempre secondo i ricorrenti, il giudice di Appello avrebbe dovuto considerare come valida la sentenza di primo grado dato che la questione della rivendicazione dell'immobile non avrebbe dato luogo a ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo la decisione produttiva di effetti solo verso le parti in causa.
Inoltre, aggiungevano i ricorrenti, al giudizio di primo grado aveva partecipato l'amministratore di condominio il quale, autorizzato dall'assemblea, ai sensi dell'articolo 1131 comma II del Codice Civile era legittimato ad agire a tutela della rivendicazione dell'appartamento per il condominio, non rendendo necessaria l'integrazione del contraddittorio verso tutti i condomini.
La Corte di Cassazione si pronunciava rigettando i primi motivi di ricorso, ma accogliendo l'ultimo elencato.
In buona sostanza la Suprema Corte affermava che l'intervento del condominio nel primo grado di giudizio fosse volto alla rivendicazione di un bene come proprio, quindi classificabile come intervento adesivo autonomo e, di conseguenza, aveva legittimato il condominio a proporre appello alla sentenza di primo grado che lo aveva visto soccombere.
Per quanto riguarda la legittimazione dell'amministratore di condominio, la Corte ragionava in base agli articoli 1130 e 1131 del Codice Civile, che specificano le attribuzioni dell'amministratore, tra le quali figura la tutela dei beni comuni del condominio.
L'articolo 1117 del Codice, poi, descrive i beni comuni ma – come noto – tale elenco non è tassativo e lascia aperta la possibilità di ricomprendere altri beni, sussistendone i requisiti.
Nel caso in questione l'appartamento era effettivamente di proprietà del condominio e come tale certamente un bene comune.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, la Corte di Appello non aveva applicato correttamente i principi di legge summenzionati, dato che aveva affermato che, stante la natura di bene condominiale dell'appartamento, la sentenza di primo grado sarebbe stata nulla dato che non era stata pronunciata al cospetto di tutti i condòmini.
Tuttavia, alla luce dell'articolo 1131 del Codice Civile, la chiamata in causa dell'amministratore (che deve riferire in assemblea) è di per sé sufficiente per eliminare la necessità di chiamare in causa tutti i condòmini.
In conclusione, quindi, la Cassazione annullava la sentenza di Appello e rimetteva alla Corte il processo indicando come questa al fine di decidere avrebbe dovuto attenersi al seguente principio: «premessa la legittimazione passiva dell'amministratore per qualunque azione abbia ad oggetto parti comuni dello stabile condominiale, la individuazione della natura del bene controverso deve avvenire tenendo conto che l'art. 1117 c.c. contiene un'elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un'oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale».

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