Condominio

L’usucapione dei beni comuni scatta anche nel caso di vendita nulla

di Paolo Accoti

L'usucapione dei beni comuni, possibile anche in caso di clausole di trasferimento della proprietà nulle.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26061, pubblicata in data 16 dicembre 2016, ha definito la controversia insorta tra alcuni condòmini, in merito al possesso di un bene comune e alla relativa domanda riconvenzionale di acquisto per intervenuto usucapione.
E infatti, alla originaria richiesta tesa ad ottenere la nullità di alcune clausole contenute in una scrittura privata intercorsa tra le parti in causa - che stabilivano il trasferimento ad uso esclusivo di una frazione del cortile comune -, perché in contrasto con norme imperative di legge, oltre che con l'atto costitutivo del condominio, faceva da contraltare la domanda riconvenzionale dei condòmini convenuti che eccepivano l'intervenuto acquisto per usucapione.
Dopo alterne vicende il giudizio giunge dinnanzi alla Suprema Corte, la quale ricorda come «in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso “ad usucapionem”, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione , la manifestazione del dominio esclusivo sulla “res” da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cass. 15 giugno 2001 n. 815)».
Ciò posto, con particolare riferimento al caso in questione e, nello specifico, all'ipotesi di clausole di trasferimento della proprietà affette da nullità, condivide e conferma il principio per cui «il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l'invalido trasferimento della proprietà, l'accipiens può possedere il bene animo domini, ed anzi proprio la circostanza che la traditio sia stata eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido, era, comunque, volto a trasferire la proprietà del bene costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l'accipiens e la res tradita sia sorretto dall'animus renn sibi habendi, valorizzandosi anche l'operatività della presunzione prevista dall'art. 1141 c.c., comma 1, che riconosce - ove non sia offerta una prova contraria sull'inizio dell'esercizio della relazione di fatto a titolo di detenzione - l'applicabilità, per l'appunto, della presunzione della sussistenza del possesso in capo a colui che esercita il potere di fatto sul bene (Cass. n. 14115 del 2013)».
Nel caso di specie, conclude la Corte, così come emerso nel giudizio di merito, la recinzione delle aree comuni è il modo più appariscente ed inequivocabile della volontà di appropriarsi del bene, che manifesta quel possesso esercitato come se si fosse proprietario (uti dominus) utile ai fini dell'acquisto della proprietà a titolo di usucapione.

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