Condominio

Regolamento contrattuale di condominio, la Cassazione fa il punto

di Paolo Accoti

L'ennesima pronuncia, giunta a brevissima distanza di tempo dalle altre, ripropone la “tormentata questione” relativa alla opponibilità delle clausole limitative dei poteri e delle facoltà spettanti ai condòmini sui singoli appartamenti.
Prima della sentenza n. 22582, pubblicata in data 7 novembre 2016, lo “stato dell'arte” poteva così riassumersi.
Da una parte la giurisprudenza, a questo punto, maggioritaria, per cui il riferimento nell'atto d'acquisto dell'immobile del regolamento, purché enunciato in modo chiaro ed esplicito, vincola contrattualmente l'acquirente e il venditore, giacché la sola menzione ne presuppone la conoscenza e l'accettazione (Cass. 17886/2009; Cass. 10523/2003; Cass. 395/1993; Cass. 4905/1990. Da ultimo: Cass. 19212/2016 e Cass. 22310/2016), dall'altra quella fautrice della tesi più rigorosa per cui, le clausole che impongono il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva a determinate attività, devono essere approvate all'unanimità e per avere efficacia devono essere trascritte nei registri immobiliari oppure essere menzionate ed accettate espressamente nei singoli atti d'acquisto (Cass. 6100/93; Cass. 7396/2012: «non bastando il mero richiamo delle stesse nella nota di trascrizione dall'atto di acquisto»).
Nel mezzo, ulteriori interpretazioni giurisprudenziali intermedie che ritengono, a seconda della tipologia di clausole, solo per quelle impositive di una servitù o di un peso ovvero che prescrivano prestazioni positive a carico di alcuni condòmini in favore di altri o di soggetti diversi o, ancora, che pongano limiti il godimento o l'esercizio dei diritti del proprietario dell'unità immobiliare, sia necessaria la trascrizione nei registri immobiliari (Cass. 3749/99; Cass. n. 11684/02; Cass. 14898/13; Cass. n. 17493/14. Da ultimo: 20124/2016).
Come detto, in data 7 novembre interviene nuovamente sul punto la II sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a risolvere un caso per alcuni versi particolare.
L'originaria parte venditrice, dopo aver acquistato l'immobile, aveva dato mandato alla società costruttrice di predisporre il regolamento condominiale e di depositarlo presso un notaio affinché ne curasse la trascrizione.
Pertanto, all'atto di acquisto del predetto primo proprietario il regolamento non risultava ancora esistente, lo stesso, infatti, veniva approvato solo successivamente, in data 3 marzo 1983, nonché trascritto il successivo 4 marzo; in seguito lo stesso vendeva agli attuali resistenti nel giudizio al vaglio della Corte, il medesimo appartamento, con rogito notarile stipulato in data 27 maggio 1986, nel quale veniva fatto riferimento al «rapporto di condominio».
Sulla scorta di ciò, il condominio riteneva che le clausole limitative della proprietà privata dei nuovi acquirenti, fossero da ritenersi pienamente operative, siccome conosciute agli stessi in virtù del richiamo operato.
Di contrario avviso, tuttavia, risultano sia il giudice d'appello che la stessa Corte di Cassazione investita della questione da parte del condominio ricorrente.
La stessa riferisce come «la pronuncia cassata muove dall'assunto, in sé ineccepibile, per cui le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (per tutte: Cass. 31 luglio 2009, n. 17886; Cass. 3 luglio 2003, n. 10523)».
Nel caso specifico, tuttavia, la stessa non può fare a meno di rilevare come all'atto del primo acquisto, il regolamento risultava inesistente, tanto è vero che vi era solo un richiamo generico alla sua futura predisposizione, pertanto, applicando un principio consolidato (Cass. 5657/2015), ha osservato come «l'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unità immobiliare di un fabbricato, di rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poiché è solo il concreto richiamo nel singolo atto d'acquisto ad un determinato regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem di tale atto».
Ecco che allora ha giustamente ritenuto come il regolamento condominiale in questione, siccome formato e trascritto solo successivamente all'acquisto da parte del dante causa degli odierni resistenti, successivi acquirenti, non potesse risultare loro opponibile.
Lucido e assolutamente condivisibile appare il ragionamento operato dalla Suprema Corte: - nel caso concreto, infatti, non conta la circostanza per cui l'acquisto dell'appartamento da parte dei resistenti è avvenuto dopo tre anni dall'approvazione e trascrizione del regolamento condominiale, atteso che le limitazioni dallo stesso imposte si erano formate in un momento successivo al primo acquisto da parte del dante causa degli attuali acquirenti; - men che meno poteva avere rilevanza il richiamo, operato all'interno del primo contratto di compravendita del 1983, di un regolamento all'epoca inesistente; - ininfluente l'epoca anteriore della trascrizione rispetto al secondo acquisto, in considerazione del fatto che la pubblicità immobiliare non può avere valore costitutivo.
Tanto è vero che, ricorda la Corte, «il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio vincoli i successivi acquirenti quanto alla restrizione dei poteri e delle facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca, è anzitutto necessario che esso sia accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli appartamenti: solo se i vincoli gravino sul primo proprietario può porsi il problema del trasferimento di essi ai successivi acquirenti. E' in tale ipotesi, solo in tale ipotesi, che può rilevare la trascrizione».
Risolto il caso specifico, la Corte di Cassazione, non manca di evidenziare i principi generali dai quali risulta possibile far discendere l'opponibilità delle clausole regolamentari limitative della proprietà privata in capo ai singoli condòmini.
E' proprio in merito all'efficacia del regolamento e alla necessità, o meno, della sua trascrizione rileva: «Il rapporto tra approvazione del regolamento e trascrizione dello stesso va chiarito - alla luce della giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare Cass. 17 marzo 1994, n. 2546) - nei termini che possono così riassumersi: a) il regolamento condominiale che contenga limitazioni ai diritti di proprietà dei singoli condomini deve essere approvato da tutti i partecipanti al condominio con atto di natura negoziale; b) per avere efficacia nei confronti dei successori a titolo particolare di coloro che hanno approvato dette limitazioni devono essere trascritte nei pubblici registri immobiliari; c) la trascrizione non è tuttavia necessaria se il regolamento è richiamato nei singoli atti d'acquisto, perché in questo caso il vincolo scaturisce non dalla opponibilità, ma dalla accettazione delle disposizioni che limitano i diritti dominicali dei singoli».
In altri termini, per parafrasare la Suprema Corte, il tema della trascrizione viene in rilevo solo nel momento in cui esiste già un regolamento che vincola l'originario acquirente che, in quanto tale, risulterà opponibile anche ai terzi acquirenti, considerato che «in assenza di un atto produttivo di effetti nei confronti dei condomini stessi la trascrizione è priva di rilievo».
Ciò detto, la Corte si pone il problema se i successivi acquirenti hanno in una qualche maniera, con l'atto di acquisto, approvato il regolamento nel frattempo trascritto.
Il condominio ricorrente ritiene di sì, sulla scorta del fatto che nel secondo atto di acquisto vi era menzione del “rapporto di condominio”.
Ancora di contrario avviso, tuttavia, la Corte di Cassazione che, invece, ritiene «evidente come un tale riferimento risulti insufficiente ai fini indicati, dal momento che esso non implica la conoscenza e l'approvazione del regolamento condominiale da parte degli acquirenti dell'immobile».
Pertanto, anche la sentenza in commento deve essere annoverata in quel filone giurisprudenziale, sicuramente maggioritario per cui, per l'opponibilità del regolamento di condominio di natura contrattuale è sufficiente il mero riferimento nell'atto d'acquisto dell'immobile, a condizione però che detto riferimento sia espresso in modo chiaro ed esplicito, solo in questo caso, infatti, lo stesso può vincolare contrattualmente l'acquirente e il venditore, in considerazione del fatto che la sola precisa menzione ne presuppone la conoscenza e l'accettazione.

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