Condominio

Il passaggio verso la canna fumaria genera una servitù che va tutelata

di Francesco Machina Grifeo

In un condominio, il passaggio anche «rudimentale», all'interno delle mura dell'edificio, attraverso il quale viene raggiunta la colonna di «scarico fumario» costituisce «simulacro di una servitù» e dunque è tutelabile in via possessoria. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 31 ottobre 2016 n. 22016, respingendo il ricorso di un vicino che aveva ostruito la condotta con «una gettata cementizia» e chiarendo che in caso di chiusura «clandestina», ai fini della tempestività dell'azione, si inverte l'onere della prova.
Il ricorrente sosteneva che il passaggio era abusivo e che comunque era inutilizzato da almeno due anni essendo stato chiuso durante i lavori di ristrutturazione condominali del 1998. Né alcun valore potevano avere le fatture relative ai consumi del gas in quanto nulla provava che si riferivano alla caldaia che scaricava nel condotto. Anzi, incalza il ricorrente, se è vero che a seguito dell'occlusione non fu più possibile usufruire dell'acqua calda, allora «è da escludere che la resistente ebbe a versare in incolpevole ignoranza e, quindi, esercitò tardivamente l'azione di spoglio, quando era decorso da tempo l'anno previsto dalla legge».
Al contrario, per la Suprema corte «la circostanza che il passaggio [...] possa essere rimasto inutilizzato per qualche tempo non assume rilievo di sorta», infatti, prosegue la sentenza, «trattandosi del possesso di una situazione di fatto assimilabile al diritto di servitù continua», una volta costruito il passaggio attraverso il quale i fumi venivano scaricati nella colonna del ricorrente, «il titolare della situazione possessoria non deve far nulla per ricavare dalla stessa l'utilità desiderata». Mentre, proprio «la clandestinità dello spossessamento» implica che colui che agisce in possessoria - sul quale incombe, di regola, l'onere di provare la tempestività dell'azione - «deve dimostrare soltanto la clandestinità dell'atto violatore del possesso e la data della scoperta di esso da parte sua, essendo implicito, in tale ipotesi, che il termine in questione non poteva iniziare a decorrere se non dal momento in cui fosse cessata la clandestinità e lo spossessato fosse a conoscenza dell'illecito (o avesse avuto la possibilità di averne conoscenza facendo uso della normale diligenza, esigibile nella cura dei propri interessi)».
Pertanto è chi sostiene la decadenza a dover dimostrare «l'intempestività dell'azione per decorso del termine, rispetto all'epoca di conoscenza o di conoscibilità dello spoglio». Un onere quest'ultimo, conclude la sentenza, che secondo il vaglio dell'istruttoria probatoria di merito, non censurabile in Cassazione, non è stato assolto.

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