Condominio

Il suolo è sempre comune anche se le mura perimetrali risultano private

di Paolo Accoti

Premesso che per suolo non si deve intendere il piano di campagna su cui insiste la parte visibile dell'edificio, ma la porzione di terreno sul quale si regge l'intero fabbricato – nella sua parte più bassa a livello delle fondazioni – la struttura esterna dell'edificio, o una parte di esso, in nessun caso può identificarsi con il concetto di suolo.
Logica conseguenza di ciò è che, in ambito condominiale, giammai le porzioni dell'edificio, quand'anche di proprietà privata, identificate catastalmente con particelle diverse rispetto a quelle in cui sorge il fabbricato comune, possono confondersi con il suolo che, in quanto tale, rimane sempre un bene comune.
Il suolo, quindi, coerentemente con quanto affermato dall'art. 1117, n. 1), Cc, risulta sempre oggetto di proprietà comune, ancorché le mura perimetrali che sullo stesso insistono, per funzione o titolo, risultino di esclusiva pertinenza del singolo condomino. Conseguentemente, la cura e la gestione dello stesso è a carico dell'intero ente di gestione e alle spese necessarie alla manutenzione e conservazione del suolo concorrono tutti i partecipanti al condominio.
Questi sono i principi, per alcuni versi innovativi, espressi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19215, pubblicata in data 28 settembre 2016.
Il caso, non infrequente, prende le mosse dal giudizio instaurato da una società proprietaria esclusiva di un immobile ubicato nel corpo avanzato di un più ampio complesso immobiliare costituito in condominio.
Detta società portava in giudizio il condominio perché l'immobile presentava dei cedimenti alle strutture portanti, sia nei piani rialzati che in quelli seminterrati, e ne chiedeva la condanna alla realizzazione dei lavori necessari all'eliminazione difetti riscontrati, oltre al risarcimento del danno.
Nel costituirsi in giudizio il condominio eccepiva che il corpo di fabbrica di proprietà esclusiva della società attrice risultava elemento distinto dal resto del fabbricato in condominio, nel quale, pertanto, non era ricompreso, ed escludeva quindi qualsivoglia responsabilità dell'ente di gestione, non vertendosi in materia di beni comuni.
Espletata l'istruttoria, con l'ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio, la domanda veniva respinta sia in primo che in secondo grado.
Per motivare il riferito diniego le Corti territoriali, sulla scorta della perizia redatta, evidenziavano come <<risultava accertato che la causa del dissesto era da riferire al cedimento differenziale del plinto dell'angolo sud ovest dell'edificio, dovuto alla costruzione dell'immobile in questione in epoca successiva a quella dell'edificio principale, e a quota leggermente inferiore, incidendo sulla situazione, peraltro, la natura della struttura, scarsamente rigida, e la sua arditezza, nonché lo stesso terreno su cui era stato edificato, non più integro e ciò aveva accentuato sulla struttura secondaria del corpo aggiuntivo cedimenti differenziali. Aggiungeva che l'unico collegamento mantenuto dall'unità immobiliare in questione col corpo principale era rappresentato dal pilastro posto sul lato nord, mentre i muri perimetrali risultavano tutti di esclusiva pertinenza del corpo aggiunto ed il plinto collegato alla fondazione comune serviva solo a sostenere il corpo avanzato e non già entrambi gli edifici>>.
In sostanza, per giustificare il rigetto veniva considerato che, per valutare a chi spettasse la manutenzione del bene oggetto di cedimento, bisognava fare riferimento <<all'appartenenza funzionale delle singole parti al fabbricato>> e che, pertanto, considerato che il collegamento tra gli edifici risultasse accertato solo sul lato nord, mentre l'origine degli smottamenti era stata individuata all'angolo sud ovest del fabbricato e che i pilastri insistenti su detto lato avevano la sola funzione di sostenere il fabbricato aggiunto, di proprietà esclusiva della società attrice, su questa incombevano tutti i relativi oneri manutentivi, trovandosi al cospetto di un bene privato e non di una proprietà comune.
La decisione, come detto, viene impugnata dinnanzi alla Suprema Corte, per violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 Cc che, annovera, tra i beni comuni il suolo sul quale sorge l'edificio.
La Corte di Cassazione evidenzia da subito come la Corte di Appello di Genova sia incorsa in due errori di diritto che, pertanto, impongono la cassazione della sentenza e il rinvio ad altra sezione della medesima Corte d'Appello.
Nel motivare l'interessante e, senza dubbio, esemplare sentenza, il giudice di legittima individua in primo luogo le inesattezze contenute nella gravata sentenza: <<il primo deriva dal fatto di non aver considerato che la nozione di suolo, che l'art. 1117 c.c., n. 1 annovera tra le cose oggetto di proprietà comune, si identifica per sottrazione logica, in quanto si differenzia dall'edificio soprastante a stregua della nozione che di quest'ultimo si assuma valida. Pur nella variabilità morfologica (si pensi che per suolo su cui sorge l'edificio comune s'intende non il piano di campagna, ma la parte di terreno su cui poggia la parte infima di quest'ultimo, comprensiva delle fondazioni: cfr. Cass. n. 8119 del 2004; Cass. n. 18091 del 2002; Cass. n. 6357 del 1993 e Cass. n. 1632 del 1983), il concetto di suolo corrisponde ad entità fisiche non relativizzabili, di talché in nessun caso l'edificio o una parte di esso può identificarsi come suolo, quali che siano le rispettive individuazioni catastali, attribuite per ragioni di carattere fiscale. Ne consegue che in materia condominiale nessuna porzione dell'edificio, ancorché di proprietà individuale e perciò corrispondente in catasto ad una particella diversa da quella identificante l'area su cui sorge il fabbricato comune, può essere considerata come suolo”.
La seconda inesattezza: <<complementare all'affermata esplicazione dell'art. 840 c.c. - si annida nella premessa maggiore del sillogismo per cui, atteso che con la locuzione “suolo su cui sorge l'edificio” deve intendersi quella porzione di terreno sul quale poggia l'intero edificio, cioè l'intera area delimitata dalle mura perimetrali dell'edificio stesso (così, Cass. n. 14350 del 2000, richiamata nella stessa sentenza), i muri perimetrali della palazzina …, tutti di esclusiva pertinenza dell'attrice, l'unico plinto collegato alla fondazione comune sostiene il solo corpo avanzato, nè avendo alcuna utilità o funzione comune, non fa parte del fabbricato condominiale. L'equivoco risiede in ciò, che l'edificio di cui parla l'art. 1117 c.c. non è dato dall'insieme delle sole sue parti comuni, nel senso che queste si identifichino con quello esaurendone la definizione, ma è il tutto, cioè un'unità fisico-economica complessa e compiuta che racchiude ogni porzione, di proprietà comune o individuale, del fabbricato medesimo. Non a caso la norma enumera le parti comuni dell'edificio, e non descrive, viceversa, quest'ultimo come somma delle sole strutture superindividuali elencate, così come l'art. 1117 c.c., comma 1 correla il suolo, quale parte di proprietà condominiale, unicamente al fabbricato, non anche alle singole altre parti (fondazioni, muri maestri, tetti ecc.) che sono comuni per la funzione assolta, non per il fatto di essere comprese nell'edificio (in termini, Cass. n. 18344 del 2015 e Cass. n. 4430 del 2012)>>.
In buona sostanza, riferisce la Corte, ai sensi dell'art. 1117 Cc, per suolo oggetto di proprietà comune deve intendersi quello su cui insiste l'intera struttura, ivi comprese le mura perimetrali, a prescindere dalla funzione dalle stesse svolta o dalla loro proprietà, anche allorquando queste siano destinate esclusivamente a delimitare e sorreggere una corpo sporgente di proprietà privata.
Ciò sulla scorta del presupposto per cui la norma di riferimento, l'art. 1117 Cc, non definisce la proprietà comune come somma delle sole parti comuni, bensì come unità <<fisico-economica complessa e compiuta che racchiude ogni porzione>> del fabbricato stesso, sia essa di proprietà comune ovvero individuale.

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