Condominio

Anche le «possibili conseguenze negative» incidono sull’uso del bene comune

di Paolo Accoti


Anche l'aumento delle possibili conseguenze negative può comportare un uso illegittimo della cosa comune.
Il rispetto dei limiti indicati dall'art. 1102 Cc, vale a dire il diritto di servirsi della cosa comune, purché non ne vengano alterati la destinazione e non si impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, deve tener conto di un insieme di fattori, tra cui l'alterazione dell'originaria destinazione del bene comune, ma anche delle eventuali «negative conseguenze» che un uso diverso del bene può comportare e, pertanto, dell'aumento delle possibilità che dagli stessi derivino eventi pregiudizievoli.
Sulla scorta di ciò la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17992, pubblicata in data 14 settembre 2016, ha confermato la sentenza delle corti di merito, che avevano ritenuto illecito l'utilizzo di un pluviale originariamente adibito al solo deflusso delle acque meteoriche.
La vicenda giudiziaria vedeva contrapposte due coppie proprietarie di altrettanti appartamenti ubicati in uno stabile in condominio.
Le stesse litigavano sull'utilizzo di un pluviale esterno alla facciata condominiale, originariamente utilizzato per lo scarico delle sole acque piovane ma, successivamente, modificato dai condòmini convenuti, che avevano ritenuto legittimo innestare sullo stesso un tubo di scarico di «acque luride», suscitando le proteste degli altri condòmini che, pertanto, ne chiedevano giudizialmente la rimozione.
Espletata sul punto una consulenza tecnica d'ufficio, in primo e secondo grado, la domanda veniva accolta con la condanna dei condòmini convenuti al ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione del tubo di scarico delle acque nere, siccome ritenuto lesivo, ai sensi dell'art. 1102 Cc, dei diritti degli altri condomini sul bene comune.
La sentenza veniva impugnata dinnanzi alla Suprema Corte per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ragione della dedotta maggiore pericolosità dell'opera realizzata rispetto a quella precedente, oltre che per l'omessa valutazione delle prove offerte sulla maggiore pericolosità dell'utilizzo delle vie interne di scarico.
Di contrario avviso, tuttavia, il giudice di legittimità che conferma la sentenza impugnata, ritenuta ineccepibile sulla scorta del fatto che «il giudice distrettuale, chiamato a valutare la compatibilità dell'opera contestata rispetto ai limiti indicati dall'art. 1102 c. c. - ossia il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto - ha ritenuto di escluderla sulla base dell'esame di un insieme di fattori, concernenti non solo l'alterazione dell'originaria destinazione del bene comune, limitata, sin dalla realizzazione dello stabile, allo scolo delle sole acque bianche, ma anche la possibilità di nuovi eventi pregiudizievoli, cagionati dall'eventuale intasamento del pluviale e dalla conseguente fuoriuscita dei liquami in esso contenuti».
A sostegno di ciò la Corte di Cassazione evidenzia come «appare evidente che il giudice de quo, nel valutare tale ultima circostanza, ossia “le negative conseguenze” che un uso diverso del discendente può comportare, non è incorso in contraddizione, giungendo a una decisione che, ancor prima che sul piano giuridico, appare indiscutibile sul piano logico, in quanto fondata sul postulato secondo cui all'aumentare del numero dei fattori di rischio consegue, quantomeno sul piano astratto, l'aumentare delle possibilità che dagli stessi derivino eventi pregiudizievoli».
Ecco che allora quando l'uso del bene comune, a cagione dell'alterazione dell'originaria destinazione della bene, comporta una maggiore pregiudizievolezza ed aumenta la possibilità del danno, ci troviamo al cospetto di una alterazione in merito all'utilizzo del bene da ritenersi illegittima ai sensi dell'art. 1120 Cc.
A tal proposito, la Corte di Cassazione aveva già avuto modo di affermare come «in materia condominiale, la disciplina di cui all'art. 1120 c.c. è riferibile a quelle innovazioni, intese come modificazioni che determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale o vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti, volute dall'assemblea condominiale con le prescritte maggioranze e non, invece, a quelle opere realizzate dal singolo condomino per il miglior uso della cosa comune di cui all'art. 1102 c.c.» (Cass. 11445/2015).
La stessa ricorda come il menzionato art. 1102 Cc consente a ciascun condomino il diritto di trarre dal bene comune un'utilità più intensa o anche diversa da quella degli altri comproprietari, a condizione però che non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso.
Pertanto, «il singolo condomino può apportare alla cosa comune le modificazioni del caso, sempre sul presupposto che l'utilità, che il condomino intenda ricavare dall'uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima (Cass. 12310/11) o, a maggior ragione, che essa non perda la sua normale ed originaria destinazione (Cass. 1062/11)».
In applicazione degli anzidetti principi, legittima è stata stimata l'apertura di finestre o anche la trasformazione di luci in vedute su un cortile comune (Cass. 13874/10), al pari del taglio parziale del tetto per ricavarne un terrazzo (Cass. 14102 e 14107/12; 2500/13), così come l'apertura nell'androne condominiale di un nuovo ingresso a favore dell'immobile di un condomino, atteso che, pur realizzando un utilizzo più intenso del bene comune da parte di quel condomino, non esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non altera la destinazione del bene stesso (Cass. 42/2000; 8591/99; 24295/14).
Fermo restando che appare vietato l'utilizzo del bene comune qualora comporti un aumento del potenziale pericolo derivante dal bene stesso, come ad esempio, aprire varchi e installare porte nel muro portante, comportando potenzialmente rischi per la staticità dell'edificio e incidendo in modo durevole e significativo nella precipua funzione del bene (Trib. Bologna, 2/11/2004) ovvero installare tubi nei solai che separano i piani di un edificio condominiale, consentito ove non pregiudichino l'uguale godimento altrui della cosa comune e non concretino una particolare situazione di danno o di pericolo (Cass. 3659/1981).

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