Condominio

Amministratori, la curiosa polverizzazione della rappresentanza

di Francesco Schena

La categoria degli amministratori condominiali vanta oltre quaranta sigle associative. Ma si tratta di opportunità o di depauperamento?
Quella degli Amministratori di condominio è una categoria professionale costituita da un esercito di uomini e donne rappresentato da una sorprendente numerosità di associazioni.
A quelle definite “storiche” si sono affiancate, con una rilevante accelerazione nell'ultimo decennio, una folta schiera di nuove sigle al punto tale da non avere certezza alcuna su quale ne sia l'esatto numero.
Alcune di queste hanno ottenuto, nel corso degli anni, diversi riconoscimenti, partendo dall'accreditamento presso il CNEL per finire con l'elenco del MiSE. Talune hanno raggiunto un numero considerevole di iscritti, anche nell'ordine di diverse migliaia mentre altre hanno conservato una dimensione più contenuta, addirittura fino a qualche decina di unità, e spesso perfino la eterogenea diffusione geografica rappresenta curiose anomalie.
Fonti ufficiose, a disposizione degli addetti ai lavori, riferiscono di oltre quaranta sigle, con articolazioni più o meno complesse e con rappresentanze che vanno da poche circoscrizioni fino all'intero territorio nazionale.
A questo esercito fatto di diverse “divise”, si aggiungono, poi, circa quattromila Amministratori professionisti che non sono iscritti ad alcuna associazione e che, evidentemente, non trovano in nessuna di queste riscontro alle proprie aspettative.
Ma perché così tante sigle? La polverizzazione della rappresentanza costituisce una opportunità o un motivo di depauperamento? E cosa pensare del continuo flusso migratorio degli iscritti da un associazione all'altra?
Questa frammentazione, purtroppo sempre in aumento, può trovare le sue motivazioni in una analisi di tipo antropologica.
Non parliamo di una categoria di estrazione ordinistica o accademica, ma di una vera e propria “self made” e quindi con un patrimonio genetico tutto suo, fortemente connaturato dallo spirito di sopravvivenza e, per molti versi, fuori dagli schemi. I processi normativi degli ultimi venti anni, a partire dal conferimento al condominio della qualità di sostituto di imposta dal 1998, hanno fatto sì che gli Amministratori, oberati di nuove responsabilità e incombenze, cominciassero a sentirsi sempre più professionisti, avvertendo anche l'esigenza di essere considerati come tali, sentendo, così, il bisogno di associarsi per essere rappresentati in assenza di un Albo. La legge di riforma del condominio n. 220/2012, passando dalla legge delle professioni senz'Albo n. 4/2013 per poi finire con il D.M. n. 140/2014, ad oggi completano quell'evoluzione normativa che sempre più ha permeato la categoria di questa esigenza.
Ma un attento esame del fenomeno ci rivela un dato significativo e che palesa molto del dna della categoria: in realtà, l'attuale polverizzazione è dovuta, almeno principalmente, non ad una spontanea crescita di nuove realtà associative grazie all'impegno di giovani professionisti, bensì ad un vera e propria epidemia scissionistica. Infatti, molte sigle sono “costole” di altre, nate per dissapori e contrasti interni tra i gruppi dirigenti. Questo fenomeno denota l'incapacità di risolvere conflitti e fare gruppo, a favore di una più facile propensione a creare spaccature. Anche in associazioni di altre categorie professionali non sempre sono rose e fiori, ma o gli iscritti hanno la capacità di cambiare la dirigenza o questa stessa ha la capacità di sanare le spaccature, sebbene anche con il raggiungimento di compromessi, senza certamente assistere ad una continua proliferazione di sigle. A questo deve aggiungersi la spasmodica ambizione da parte di molti di occupare una poltrona nell'organigramma associativo piuttosto che lottare per sostenere il proprio pensiero e riuscire a convincere gli iscritti o i dirigenti delle proprie idee e quindi cambiare l'associazione alla quale è già iscritto. Per la parte restante, invece, si tratta di divergenze fra vecchie e nuove scuole di pensiero sul “mestiere” con la conseguente nascita di sigle che si definiscono più innovative rispetto alle storiche, più votate ad una visione più moderna e manageriale della professione. Per finire, poi, con chi assume dimensioni e atteggiamenti quasi settari.
Si tratta, dunque, di una opportunità o di un rischio di indebolimento per la categoria? La numerosità delle sigle in quanto tale non costituisce un'incognita, ma lo diventa, però, nel momento in cui uno sterile quanto incomprensibile antagonismo prende il posto dell'unione e dell'arricchimento reciproco che, invece, potrebbe derivare proprio dalle diverse visioni e diverse identità se solo si avesse la capacità di fare sintesi nell'interesse di tutti.
Ma che piaccia o meno, il futuro prossimo venturo presenterà a tutte le associazioni sfide nuove, dettate da quei fattori esogeni che il mercato non farà certamente mancare e che nessuna potrà pensare di controllare.
E', allora, forse giunto il tempo di cambiare rotta? A parere di chi scrive si. Proprio in favore di quella professionalità di cui si reclama il riconoscimento in primis da parte del cliente è necessario essere ed apparire più uniti, più uniformi nella formazione, più coesi nella tutela degli interessi della categoria, più partecipativi e meno settari. Diversamente, il rischio sarà di vedere naufragare tutte le aspettative che gli iscritti ripongono nelle rispettive associazioni e ritrovare i singoli Amministratori incredibilmente “isolati” nostante le oltre quaranta sigle e “annientati” da fenomeni nuovi, più commerciali che professionali, che presto aggrediranno il mercato con strutture verso le quali, diversamente, il novanta per cento degli amministratori è destinato a soccombere.
Francesco Schena

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