Condominio

Bed & breakfast in condominio, nuovi spazi dal Tar Lazio

di Marta Jerovante


A causa del forte aumento dei prezzi delle camere di albergo, o della ridotta disponibilità di alloggi e di disponibilità alberghiera, nelle città d'arte o in altre località, nonché nelle grandi città, in particolar modo in concomitanza con eventi di rilievo anche internazionali (si pensi alle Settimane della Moda o al Salone Internazionale del Mobile di Milano, o ad Expo 2015, il cui effetto si è fatto particolarmente sentire nelle zone centrali e in quelle ben servite dai mezzi, o all'inizio dell'Anno Giubilare Straordinario della Misericordia a Roma), sempre di più frequente, i viaggiatori, per turismo o per lavoro, si orientano verso abitazioni o stanze messe a disposizione dai proprietari per locazioni di durata brevissima. D'altro canto, dal lato dei proprietari, detta tipologia di concessione in locazione si configura quale un'indubbia opportunità di messa a reddito di immobili, destinati altrimenti a restare inutilizzati, e di certo più conveniente di una locazione per tempi lunghi, che appare invece più gravosa per via delle spese, delle opere di manutenzione dell'appartamento e del carico fiscale. Per la verità, sul fronte legislativo, la prestazione di attività di affittacamere o B&B o case vacanze non è sempre chiaramente regolamentata, e può peraltro accadere che esse siano esercitate anche in forma abusiva.
La pronuncia in commento (TAR Lazio, sentenza n. 6755 del 13 giugno) è invero destinata ad avere un significativo impatto poiché si attesta su una posizione assolutamente innovativa in materia di strutture gestite in forma non imprenditoriale.
Muoviamo dall'antefatto, ossia le previsioni del Regolamento della Regione Lazio n. 8 del 7 agosto 2015, recante Nuova disciplina delle strutture ricettive extralberghiere, e il conseguente parere reso dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell'ottobre 2015, in relazione al contenuto del medesimo provvedimento.
L'articolato del Regolamento, unitamente ai suoi 8 allegati, definisce tipologie, caratteristiche e requisiti minimi e funzionali obbligatori dei servizi delle strutture extralberghiere:
- guest house o affittacamere, strutture gestite in forma imprenditoriale, che forniscono servizi di alloggio ed eventualmente servizi complementari, composte da un massimo di 6 camere ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati di uno stesso stabile, e dotate di un soggiorno di almeno 14 mq con annessa cucina/angolo cottura;
- ostelli per la gioventù, gestiti da enti pubblici, di carattere morale o religioso, cooperative sociali e ONLUS nel settore del turismo giovanile e sociale, in forma non imprenditoriale, finalizzate a «offrire soggiorno e pernottamento» per periodi limitati e non superiori a 60 giorni consecutivi a giovani, gruppi di giovani e accompagnatori, nonché ad altri soggetti con finalità di turismo religioso, sociale, culturale, sportivo;
- hostel od ostelli, strutture gestite in forma imprenditoriale, per il soggiorno e pernottamento per periodi non superiori a 60 giorni consecutivi a famiglie o gruppi di turisti, con spazi comuni più attrezzati di quelli degli ostelli per la gioventù. La medesima disposizione prevede altresì che «Roma capitale, al fine di evitare una eccessiva concentrazione delle strutture in determinate zone urbane, comprese quelle ad elevato impatto urbanistico, può individuare sul proprio territorio le zone da destinare all'apertura degli hostel od ostelli»;
- case e appartamenti per vacanze, strutture costituite da immobili arredati, aventi un soggiorno di almeno 14 mq, affittate unicamente a turisti per un periodo non inferiore a tre giorni e non superiore a tre mesi consecutivi nella Città metropolitana di Roma capitale e a Roma capitale, e per un periodo massimo di tre mesi consecutivi negli altri comuni, e prive di servizi centralizzati per la somministrazione di alimenti e bevande. Dette strutture possono essere gestite: in forma non imprenditoriale ossia in maniera occasionale per massimo due appartamenti «con un periodo di inattività par ad almeno cento giorni nell'anno solare»; in forma imprenditoriale, quando la gestione avviene in modo organizzato e non occasionale e comunque quando riguarda appartamenti in numero pari o superiore a tre;
- case per ferie, strutture gestite al di fuori dei normali canali commerciali e promozionali, da enti pubblici o privati, associazioni e organismi senza fini di lucro, che operano per finalità sociali, culturali, educative, assistenziali, religiose o sportive, arredate per il soggiorno temporaneo a gruppi o soggetti singoli, compresi i dipendenti delle aziende e familiari (vacanze per minori, colonie, case religiose di ospitalità), ad esclusione delle case di convivenza religiosa, per l'assistenza ai malati e agli anziani;
- bed & breakfast, strutture «che erogano ospitalità per un massimo di 90 giorni consecutivi», dotate di un soggiorno di almeno 14 mq con angolo cottura/cucina annessi, che offrono i servizi di soggiorno e di prima colazione agli ospiti. Il titolare del B&B ha l'obbligo di residenza/domicilio nella struttura e di riservarsi una camera da letto all'interno di essa. Tali strutture possono essere gestite: in forma non imprenditoriale, quando la gestione è svolta in modo saltuario, la struttura dispone di non più di 3 camere con un massimo di 6 posti letto e «il periodo di inattività è pari a centoventi giorni all'anno nella Città metropolitana di Roma capitale e a Roma capitale e di novanta giorni all'anno nei restanti comuni»; in forma imprenditoriale, quando la gestione è svolta in modo continuativo e la struttura dispone di non più di 4 camere con un massimo di 8 posti letto;
- country house o residenze di campagna, strutture ubicate fuori dai centri urbani e dal territorio di Roma capitale, situate in contesti rurali di interesse naturalistico e paesaggistico. Oltre all'ospitalità in camere o appartamenti anche con uso cucina autonomo o servizio di ristorazione ai soli alloggiati, è possibile offrire attività didattico-ricreative, ludiche e sportive all'interno di aree finalizzate alla fruizione di beni naturalistici, ambientali e culturali del territorio rurale; sono gestite in forma imprenditoriale e continuativa e hanno una capacità massima di pernottamento di 30 posti letto.
Il successivo Regolamento Regionale 13 del 30 settembre 2015, recante espressamente Disposizioni per favorire l'accoglienza in previsione dei flussi turistici aggiuntivi nel periodo di svolgimento del Giubileo straordinario della Misericordia ha peraltro rinviato al 1° gennaio 2017 l'entrata in vigore del Regolamento n. 8/2015 limitatamente alla disciplina dei periodi di chiusura per le case vacanza e i B&B gestiti in forma non imprenditoriale, già esistenti e regolarmente operanti: pertanto fino alla fine dell'anno in corso, il periodo di inattività dei soli B&B gestiti in forma non imprenditoriale è, secondo le previsioni del Regolamento n. 16/2008, art. 2, comma 1, lettera e), di 60/30 giorni l'anno.

Le osservazioni critiche dell'AGCM
In relazione alle citate disposizioni regolamentari, che hanno o introdotto nuovi requisiti, particolarmente stringenti, o inasprito quelli esistenti, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto di ravvisare una serie di potenziali vincoli all'operatività delle strutture ricettive extralberghiere, nonché limiti all'accesso al mercato da parte di nuovi operatori. In particolare, sono state reputate lesive delle dinamiche concorrenziali nel settore e dei consumatori le previsioni che:
- impongono a case vacanze e B&B, ove gestiti in forma non imprenditoriale, periodi di chiusura obbligatoria rispettivamente di 100 e 120/90 giorni;
- consentono ai comuni, «nei periodi di minor flusso turistico e in considerazione del numero complessivo di posti letto offerto dalle strutture alberghiere ed extralberghiere insistenti in zone urbane ad alta concentrazione di strutture ricettive [di] stabilire, durante l'anno solare, specifici periodi di chiusura, non superiori a due nell'arco dell'anno, limitatamente alle strutture che svolgono attività ricreativa in forma non imprenditoriale» (art. 3, R.R. n. 8/2015);
- attribuiscono a Roma Capitale il potere di individuare zone del proprio territorio da destinare all'apertura di ostelli;
- impongono alle case vacanza contratti di affitto della durata minima non inferiore a 3 giorni;
- impongono vincoli dimensionali delle strutture in termini di metratura minima obbligatoria di alcuni spazi, prescrivendo anche alle strutture esistenti onerosi, quando addirittura non concretamente realizzabili, obblighi di adeguamento.

L'obbligatorietà della chiusura: una disposizione anti-concorrenza
Con riferimento alla nuova disciplina dei periodi di chiusura/inattività delle sole attività ricettive extralberghiere gestite in forma non imprenditoriale, l'Autorità ha osservato in primo luogo come tali limitazioni, inasprite nel nuovo Regolamento – che, da un lato, estende alle case vacanza il periodo obbligatorio di chiusura e, dall'altro, ne aumenta sensibilmente la durata per i B&B – si pongano «palesemente in contrasto con i principi posti a tutela della concorrenza»; altrettanto ingiustificato e discriminatorio appare poi il potere dei Comuni di imporre «periodi specifici di chiusura», sia perché esso impatta «sull'autonoma definizione dell'offerta da parte delle strutture», sia perché la norma ne subordina l'esercizio alla «previa valutazione da parte del comune di un fabbisogno economico e di criteri di natura e durata indeterminate».
L'AGCM individua chiari profili di illegittimità del citato quadro normativo: esso violerebbe i principi fissati nella legislazione nazionale di recepimento della normativa comunitaria (il riferimento è all'articolo 10 del Dlgs 59 del 26 marzo 2010 – di attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno –, in base al quale «l'accesso e l'esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie»; e alla disposizione di cui all'articolo 11, lettera e), del medesimo decreto, il quale esclude che «L'accesso ad un'attività di servizi o il suo esercizio» possa essere subordinato ad «una verifica di natura economica che subordina il rilascio del titolo autorizzatorio alla prova dell'esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell'attività o alla valutazione dell'adeguatezza dell'attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti»); e si pone in contrasto con i criteri introdotti da successivi provvedimenti nazionali emanati sempre in tema di liberalizzazione e destinati ad assicurare «piena autonomia agli operatori economici quando non sussistano esigenze di interesse generale da tutelare, peraltro sempre nel rispetto del principio di proporzionalità».
L'AGCM rammenta, a tale riguardo, che l'articolo 34 del Dlgs 201 del 6 dicembre 2011 (cosiddetto decreto Salva Italia), oltre a confermare il principio di libertà di accesso e di esercizio delle attività economiche libere (comma 2), ha abrogato i divieti posti da norme (statali) vigenti ad esercitare un'attività economica «al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area», nonché la previsione di vincoli organizzativi e/o dimensionali (comma 3); e ha imposto alle regioni di adeguare «la legislazione di loro competenza ai principi e alle regole» di liberalizzazione indicate dalla medesima disposizione (comma 3).

I vincoli all'accesso: limiti di struttura e dimensione
Il nuovo Regolamento della Regione Lazio, prevedendo ad esempio che le case vacanza di qualunque categoria debbano avere un soggiorno di almeno 14 mq con annessa cucina/angolo cottura, non soltanto, poi, inasprisce in maniera del tutto ingiustificata i limiti dimensionali della previgente disciplina – senza peraltro trovare riscontro in analoghe discipline di altre regioni, che, per esempio, introducono delle differenziazioni per categoria – ma impone alle strutture esistenti, pena la cessazione dell'attività, di adeguarsi alle nuove prescrizioni, una circostanza fortemente penalizzante non soltanto per ragioni economiche ma anche strutturali, laddove l'adeguamento non sia concretamente realizzabile. In altri contesti regionali, le nuove discipline hanno al contrario fatto in ogni caso salva l'operatività delle strutture già autorizzate e operanti.
Valutando dunque come ingiustificatamente restrittive le indicate previsioni, e ritenendo che esse si configurino come «violazione dei principi concorrenziali nella misura in cui limitano l'accesso all'attività extralberghiera e ne rendono più difficile l'esercizio, in assenza di esigenze di interesse generale», l'AGCM ha così inoltrato il proprio parere alla regione Lazio, affinché la medesima provvedesse ad individuare le iniziative idonee a rimuovere la suddetta violazione e a darne comunicazione, ai sensi dell'articolo 21-bis, comma 2, della legge 287/1990, entro i sessanta giorni successivi.
Con comunicazione del 15 dicembre 2015, l'Ente regionale ha invece confermato la legittimità del proprio operato e dell'articolato del Regolamento censurato, indicando le seguenti motivazioni: le nuove previsioni sono conformi alla disciplina presente in altre realtà regionali; le strutture gestite in forma non imprenditoriale non costituiscono imprese turistiche e, conseguentemente, non sono soggetti di mercato sottoposti ai principi concorrenziali.
Al diniego della regione Lazio, è quindi seguita l'impugnazione del Regolamento Regionale n. 8/2015 e di ogni altro atto presupposto e conseguente da parte dell'AGCM dinanzi al TAR per il Lazio.

Una sentenza "rivoluzionaria"
Il giudice amministrativo ha confermato la fondatezza delle obiezioni sollevate dall'AGCM, annullando il Regolamento impugnato limitatamente alle disposizioni oggetto di specifica censura e condannando altresì la Regione resistente al pagamento delle spese processuali.
Il TAR ha sostanzialmente negato che la distinzione richiamata dalla regione, a sostegno della limitazioni introdotte, tra attività imprenditoriali e non imprenditoriali possa trovare riscontro sotto il profilo concorrenziale e di mercato, e meno ancora che possa fondarsi su ragioni di «ordine e chiarezza» sul piano specificamente fiscale: da questo punto di vista, l'Amministrazione finanziaria dispone infatti di strumenti idonei al perseguimento delle proprie finalità, non occorrendole «avvalimenti alieni» al fine di ottenere la «compliance fiscale dei contribuenti».
Un criterio discretivo operante in ambito tributario e dal medesimo mutuato, quale quello tra imprenditorialità o meno di un'attività, appare invero del tutto inidoneo a qualificare l'esercizio dell'attività medesima nell'ottica del mercato, rispetto al quale rileva, piuttosto, «l'economicità o meno di un'attività, discendente quest'ultima dalla differente ottica dell'esistenza o meno di un prezzo corrispettivo per l'offerta di un bene o servizio». Né il suddetto criterio favorirebbe, sempre sul piano concorrenziale, la lotta alle attività ricettive irregolari: l'irregolarità sarebbe infatti contrastata – replica il Tribunale – solo dal punto di vista della durata dell'(in)attività nel corso dell'anno, mentre miglior contrasto, a favore delle dinamiche del mercato, verrebbe dal tener conto dell'adeguatezza o meno dei livelli di servizio tra tutti quelli che operano all'interno del mercato di riferimento della ricettività extralberghiera.
In frontale contrasto con i menzionati parametri nazionali e comunitari si pone poi il potere limitativo dei comuni, relativamente a specifici periodi di chiusura che possono essere imposti alle sole attività ricettive non imprenditoriali: il profilo di non conformità comunitaria della disposizione regolamentare si coglie nell'evidente selettività di quest'ultima.
Il TAR Lazio conferma ancora le censure dell'Autorità in ordine al vincolo strutturale e dimensionale della disponibilità di un soggiorno di almeno 14 metri quadrati imposto soltanto alle case vacanza e ai B&B: a fronte della sola motivazione addotta dalla regione – secondo la quale per un alloggio destinato ad ordinarie finalità abitative esiste, dal punto di vista edilizio, un identico vincolo e che il medesimo risponde ad esigenze sanitarie e di salubrità – il giudice amministrativo replica in primo luogo che non si comprende perché analoga attenzione non sia stata riservata ad altre strutture ricettive per le quali potrebbe altrettanto prefigurarsi un rischio per la salubrità – che, precisa il TAR, «ove esistente, certamente non s'incrementa o si affievolisce in funzione di differenze terminologiche e definitorie aventi senso esclusivamente a livello amministrativo»; e osserva che le nuove prescrizioni, non esistendo in passato, rappresentano «un mero inasprimento della disciplina settoriale, a dispetto dei diversi paradigmi normativi orientati alla liberalizzazione sopra richiamati, né si giustifica[no] – anche solo a livello logico e di buon senso – per alloggi destinati (quasi per definizione) non già a una ospitalità stabile e, quindi durevole, quanto piuttosto fugace e – come anche il notorio dimostra – molto spesso legate esclusivamente all'esigenza del pernottamento».
Tra l'altro, anche nell'ipotesi in cui le nuove prescrizioni siano destinate ad operare solo per il futuro, secondo la lettura interpretativa suggerita dalla regione ma invero non rinvenibile dal testo normativo, il giudice sottolinea che la disposizione regolamentare appare non meno fortemente discriminatoria perché comunque escluderebbe dal mercato della ricettività «tutti i soggetti che, pur volendolo, non potrebbero, per ragioni fattuali e strutturali dei loro alloggi, adeguarne la forma interna».
E si conferma infine l'illegittimità della disposizione del regolamento impugnato che consente a Roma Capitale di individuare, sul proprio territorio, le zone da destinare all'apertura degli hostel o ostelli: «la disposizione urta frontalmente, infatti, contro il paradigma normativo primario costituito dall'articolo 34, comma 2, e, soprattutto, comma 3, lettera a), del d.l. n. 201/2011 […] se è vero che la norma primaria abroga restrizioni pari a quella specifica in essa indicata (cfr. comma 3, lettera a), cit.), è ancor più vero che essa non ne permette di nuove, aventi pari contenuto e portata (oltre che natura di fonte normativa sub legislativa)».
Coerentemente alla tendenza affermata dalla normativa comunitaria e da quella nazionale, nel senso di una progressiva riduzione e definitiva eliminazione di pesi autoritativi in danno delle attività economiche, in generale, e ricettive nel caso che qui rileva, il TAR Lazio ribadisce quindi l'illegittimità di interventi pubblici che possano arbitrariamente incidere su scelte di opportunità economica – quale sarebbe l'opzione, da parte dei soggetti, tra l'esercizio imprenditoriale o meno dell'attività al fine di sottrarsi ad una disciplina ingiustificatamente più restrittiva – e che finiscano per alterare le dinamiche che «dovrebbero invece equilibrarsi naturalmente con l'incrocio fra domanda e offerta, in funzione della disponibilità, diversità e qualità dei servizi offerti» (TAR Lazio, sentenza n. 6755/2016).
Nel concreto atteggiarsi delle fattispecie, le affermazioni della pronuncia in commento paiono in sostanza destinate ad incoraggiare il diffondersi delle attività di B&B, con risvolti di non poco conto anche nel contesto più specificamente condominiale: la compatibilità di dette strutture ricettive con la destinazione abitativa dell'immobile e con la loro collocazione all'interno di un edificio condominiale è questione ancora controversa, in assenza di univoche posizioni giurisprudenziali.

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