Condominio

Sì all’uso «indiretto» della cosa comune

di Edoardo Riccio

In materia di cosa comune occorre fare una distinzione preliminare tra uso nell’interesse della collettività condominiale e uso effettuato dal singolo condomino.

Per quanto attiene al primo aspetto, nel caso in cui si renda necessaria una diversa utilizzazione del bene, l’assemblea di condominio, con deliberazione presa a maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio, ha il potere di deciderne le modalità concrete o di modificare, nell’interesse collettivo, quelle in atto, ove accerti che queste sono divenute onerose o che vanno sostituite con altre idonee modalità di utilizzo. In tal caso il provvedimento, se non sottrae il bene comune alla sua destinazione principale o non ne impedisce l’uso paritario a tutti i condòmini, secondo il loro diritto, può essere adottato a maggioranza, trattandosi di una modificazione delle modalità di utilizzazione del bene o di svolgimento del servizio, che non incide sul diritto di cui sono titolari i singoli condòmini (Cassazione, 20 ottobre 2008 n 25502).

Se non è possibile l’uso diretto della cosa comune per tutti i partecipanti al condominio (che si tratti di uso proporzionale alla loro quota, promiscuo oppure con un sistema di turni temporali o di frazionamento degli spazi), i condòmini, con la stessa maggioranza, possono deliberarne l’uso indiretto (Cassazione, 5 novembre 2002, n. 15460). Infatti, se la natura di un bene oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; peraltro, fino a quando non vi è richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo a opera di taluni non può assumere l’idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne hanno tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cassazione, 3 dicembre 2010, n. 24647).

L’uso indiretto della cosa comune può quindi avvenire mediante locazione. L’uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari non è idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito a esso in modo certo ed inequivoco, essendo l’occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti hanno manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non è stato loro concesso (Cassazione, 9 febbraio 2015, n. 2423, e 27 ottobre 2011, n. 22435).

Invece la concessione di una cosa comune in comodato gratuito a un proprietario comporta l’attribuzione in via esclusiva, al solo comodatario, dell’uso e del godimento di essa e, conseguentemente, la sottrazione della cosa all’uso e al godimento, diretto o indiretto, da parte di tutti i condòmini, in violazione dell’articolo 1102 del Codice civile (Corte d’appello di Torino, sezione IV, 28 settembre 2005).

Non v’è, infatti, dubbio che l’articolo 1102 del Codice civile non consente che alcuni condòmini facciano un uso della cosa comune diverso, sotto il profilo qualitativo, rispetto agli altri, con la conseguenza che la delibera condominiale che fissi a tempo indeterminato una situazione di vantaggio degli uni e di svantaggio degli altri dev’essere ritenuta illegittima (Tar Valle d’Aosta, 17 gennaio 2007, n. 3).

In assenza dei presupposti citati, lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo, che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri, non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intensa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo, in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

Abito in una tipica casa di ringhiera di fine Ottocento. Nel palazzo ci sono tuttora alcune latrine, che in passato avevano la funzione di bagni comuni, mentre oggi risultano dismesse oppure vengono utilizzate come deposito. Tuttavia, le spese per la riparazione delle varie tubature di questi locali continuano a essere sostenute. Vorrei sapere come possiamo fare per evitare di pagare anche in futuro questi inutili costi. Si possono dare in locazione le ex latrine ai singoli condòmini che lo chiedono, allo scopo di utilizzarle come ripostigli, eliminando la funzione originaria?

b. c. - pavia

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