Condominio

Se la manutenzione è una «rovina» la lite può esser avviata solo dal condominio

di Luca Bridi

La responsabilità per rovina e difetti di cose immobili (articolo 1669 del Codice civile) può essere estesa anche ad interventi di modificazione o riparazione integrative. Ma la fattispecie può riguardare solo un contenzioso tra condominio, quale proprietario dell'edificio, e società appaltatrice dei lavori e non già tra proprietari di appartamenti all'interno dell'edificio e ditta esecutrice di lavori in un altro appartamento.
La responsabilità ex articolo 1669 c.c. ben può essere invocata con riguardo al compimento di opere (rectius di interventi di modificazione o riparazione) afferenti ad un preesistente edificio o ad altra preesistente cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata, le quali, in ragione di vizi del suolo (su cui la nuova opera si radica) o di difetti della costruzione (dell'opera), rovinino, in tutto o in parte, o presentino evidente pericolo di rovina ovvero gravi difetti (anche essi riferiti all'opera innovativa, non già all'edificio pregresso). Con la conseguenza che anche gli autori di tali interventi di modificazione o riparazione (cioè gli esecutori delle opere integrative) possono rispondere ai sensi dell'articolo 1669 c.c. allorchè le opere realizzate abbiano una incidenza sensibile o sugli elementi essenziali delle strutture dell'edificio ovvero su elementi secondari od accessori, tali da compromettere la funzionalità globale dell'immobile stesso (cfr. Cass. 4 gennaio 1993 n. 13; più di recente, segue la stessa linea interpretativa, Cass. 29 settembre 2009 n. 20853).
Questo è quanto sancito dalla Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 4 novembre 2015, n. 22553 in riferimento ad una vicenda che traeva origine da lavori di straordinaria manutenzione presso uno stabile condominiale, riguardanti il rafforzamento dei solai mediante il getto di caldana di calcestruzzo con rete elettro-saldata ed il rafforzamento delle rampe delle scale con la completa ricostruzione delle stesse in cemento armato. Nell'occasione l'Amministratore denunciava alla ditta appaltatrice il verificarsi nelle pareti esterne dello stabile di numerose macchie di umidità, ed in particolare, la presenza, nelle pareti esterne della facciata, di molteplici fessurazioni a forma di grigliato, sia nella tinta sia nell'intonaco, che rendevano le facciate non più impermeabili, con il conseguente verificarsi di infiltrazioni di acqua piovana nei singoli appartamenti dei condomini, nonchè vistose crepe nell'intonaco delle pareti e del soffitto dei locali scale ai vari piani, la inutilizzabilità delle finestre di areazione poste ad ogni piano e la collocazione errata dei telai delle persiane in alluminio.
Nella vicenda parte convenuta aveva eccepito due limitazioni che non trovavano l'accoglimento della Corte distrettuale.
La prima, di carattere oggettivo ed in particolar modo attestante che la fattispecie delineata dalla norma sarebbe integrata solo quando, entro dieci anni dalla realizzazione dell'edificio o della cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata, si prospettino rovina, evidente pericolo di rovina o gravi difetti, dipendenti da vizi del suolo o difetti della costruzione, afferenti all'edificio medesimo o alla cosa immobile interessata quindi ad un ambito applicativo limitato ai difetti costruttivi inerenti alla sola fase genetica di realizzazione dell'edificio ovvero di una parte di esso, non già ai difetti eventualmente riconducibili ad interventi susseguenti all'edificazione dell'immobile
E la seconda di natura soggettiva ed inerente il profilo della legittimazione passiva sostanziale, a fronte della proposizione dell'azione di responsabilità ex articolo 1669 c.c., che spetterebbe in via esclusiva all'appaltatore o al costruttore-venditore dell'edificio o della cosa immobile ovvero di una frazione di esso, al tempo della realizzazione originaria, non già ai soggetti che abbiano effettuato, successivamente alla realizzazione dell'opera, interventi modificativi o riparativi (di manutenzione o di ristrutturazione o di ricostruzione).
Questa interpretazione ermeneutica e restrittiva sarebbe avallata da due pronunce della Cassazione, secondo cui la responsabilità dell'appaltatore ex articolo 1669 c.c. trova applicazione esclusivamente quando siano riscontrabili vizi riguardanti la costruzione dell'edificio stesso o di una parte di esso, ma non anche in caso di modificazioni o riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose immobili, anche se destinate per loro natura a lunga durata (cfr. Cass. 20 novembre 2007 n. 24143; Cass. 22 maggio 2015, n. 10658).
Secondo l'orientamento dalla giurisprudenza di legittimità, assolutamente costante ed in particolare della citata Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 4 novembre 2015, n. 22553 , la lettera della norma giustifica una diversa impostazione ermeneutica, e ciò perchè non a caso il legislatore discrimina tra “edificio o altra cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata”, da un lato, e “opera”, dall'altro. L'opera cui allude la norma non si identifica necessariamente con l'edificio o con la cosa immobile destinata a lunga durata, ma ben può estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o riparativo, eseguito successivamente all'originaria costruzione dell'edificio, con la conseguenza che anche il termine “compimento”, ai fini della delimitazione temporale decennale della responsabilità, ha ad oggetto non già l'edificio in sè considerato, bensì l'opera, eventualmente realizzata successivamente alla costruzione dell'edificio. Quanto ai difetti della costruzione, inoltre, l'etimologia del termine “costruzione” non necessariamente deve essere ricondotta alla realizzazione iniziale del fabbricato, ma ben può riferirsi alle opere successive realizzate sull'edificio pregresso, che abbiano i requisiti dell'intervento costruttivo.
Nella specie il grave difetto di costruzione, a differenza di quelli che determinano rovina totale o parziale dell'edificio, può anche consistere in una menomazione che, pur riguardando una parte soltanto dell'opera, incida sulla funzionalità della stessa, impedendole di fornire l'utilità cui è destinata per un lungo lasso di tempo. Infatti, la presenza nelle pareti di molteplici fessurazioni, tali da rendere non più impermeabili dette facciate, di vistose crepe nell'intonaco delle pareti e del soffitto dei locali scale ai vari piani, non possono che essere ritenuti gravi difetti.
Ciò vale però ad avviso del Tribunale di Milano Sentenza n. 1919/2016 pubbl. il 15/02/2016 RG n. 19770/2013 4/5 (dott.ssa A. Cassano Cicuto) solo per un contenzioso tra Condominio, quale proprietario dell'edificio e società appaltatrice dei lavori e non già, come nel caso di cui è causa, una vertenza tra proprietari di appartamenti all'interno dell'edificio e ditta esecutrice di lavori in un altro appartamento.
Solo nei rapporti tra Condominio in generale, quale proprietario dell'intero edificio, e società appaltatrice appare corretto il riferimento alla disciplina di cui all'art. 1669 c.c. applicabile, secondo il Supremo Collegio, anche nel caso di lavori di ristrutturazione dell'intero edificio, laddove nell'ipotesi di cui è causa tale disciplina va esclusa dovendosi ritenere applicabile, più correttamente, quella dell'art. 2043 c.c. con riferimento al generale principio del neminem laedere.
Ne consegue pertanto che la questione dell'applicabilità dell'art.1669 c.c. al caso di specie va risolta in senso negativo, dovendosi ritenere applicabile la disciplina di cui agli artt. 2043 o 2051 c.c.

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