Condominio

Risarcimento «in forma specifica» per le tubature in aderenza al confine

di Enrico Morello ed Edoardo Valentino


Non va provato il danno subito a causa della costruzione di impianti a distanze inferiori a quelle previste dalla legge. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e qualora si assuma di avere ricevuto un danno, ci si potrà rivolgere alle sedi civili (Tribunale o Giudice di Pace) al fine di ottenere un equo risarcimento. L'ordinamento, tuttavia, prevede al fine di ottenere un equo ristoro che io sia in grado di fornire adeguata prova sia del fatto dannoso che del pregiudizio effettivamente patito (oltre che del nesso di causalità che lega il fatto con il danno).
In caso di impossibilità di provare giudizialmente l'ammontare del danno subito - ossia la quantificazione in denaro del risarcimento - sarà impossibile per il giudice provvedere a condannare il danneggiante al ristoro del danno causato.
Questa regola tassativa incontra, però, alcune eccezioni.
In prima battuta, infatti, l'attore potrà chiedere al giudice un risarcimento “in forma specifica” ossia domandare al magistrato di condannare il danneggiante a ripristinare lo stato di fatto dei luoghi così come era prima dell'evento dannoso (articolo 2058 del Codice Civile).
Ad esempio potrò domandare al giudice di condannare la controparte alla ricostruzione del muretto divelto dalla scavatrice in manovra, soluzione più immediata rispetto alla richiesta di un risarcimento in denaro.
E' del tutto possibile che la parte domandi sia un risarcimento in forma specifica che per equivalente, fatto salvo che esistono casistiche nelle quali risulta quasi impossibile fornire la prova e quantificare il patimento subito.
Si pensi ad esempio al caso in cui un soggetto agisca contestando che il vicino abbia costruito e interrato delle tubazioni ad una distanza inferiore al metro prescritto dalla legge (si veda Cassazione, Sezione II, n. 1989 del 2 Febbraio 2016).
Nella citata decisione un condominio aveva citato in giudizio altri due comproprietari al fine di ottenere la riduzione in pristino e il risarcimento dei danni in relazione alla costruzione di tubazioni in prossimità del proprio confine e comunque a distanze inferiori a quelle prescritte dalla legge.
La Corte di Cassazione, in tale occasione, aveva confermato la sentenza di appello che imponeva ai condomini di modificare la costruzione effettuata, dislocando i tubi di almeno un metro dal confine con il ricorrente.
In merito al risarcimento richiesto, invece, la parte resistente aveva domandato il rigetto di tale domanda sulla base dell'assenza di prova di un danno attuale e richiamando “la nozione di risarcimento inteso come rappresentazione monetaria di una situazione illecita sfavorevole e lesiva (e perciò dannosa) per chi la subisce”.
La Suprema Corte, sul punto, aveva invece richiamato la giurisprudenza di legittimità, la quale ravvisava la violazione delle norme sulle distanze come un illecito al quale sarebbe seguito un danno “in re ipsa”, ossia un danno sussistente per il solo fatto di avere posto in essere un comportamento vietato e lesivo.
A tal fine, quindi, secondo la Cassazione la costruzione dei tubi in aderenza rispetto al confine, oltre a comportare un risarcimento in forma specifica (modifica della costruzione secondo i parametri di legge) cagionava la necessità di risarcire il danno al ricorrente (risarcimento per equivalente).
In merito alla quantificazione del predetto danno, invece, non essendo possibile una esatta e oggettiva monetizzazione del pregiudizio patito, la Corte richiamava l'articolo 1226 del Codice Civile il quale affermava che “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”.
In buona sostanza, quindi, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il caso della costruzione dei tubi a distanze inferiori rispetto a quelle prescritte dalla legge come un pregiudizio che legittima il danneggiato sia a richiedere una riduzione in pristino che un risarcimento del danno.

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