Condominio

Il consorzio immobiliare non è un supercondominio

di Donato Palombella

Con l'entrata in vigore della Legge 11 dicembre 2012, n. 220 (la c.d. “riforma del condominio) nasce l'esigenza di tracciare la linea di demarcazione tra il consorzio immobiliare ed il supercondominio che, come noto, ha trovato un riconoscimento ed una propria disciplina con la riforma del condominio. Tra il consorzio immobiliare, costituito per gestire beni e servizi comuni a più edifici, ed il supercondominio, la cui funzione è quella di gestire i beni comuni a più condomìni, esistono, infatti, notevoli similitudini ma anche profonde differenze in relazione alla normativa applicabile, al recesso, all'obbligo di pagamento delle quote. La Cassazione è intervenuta cercando di porre dei paletti con una vera e propria raffica di sentenze (3 ottobre 2013 n. 22641; 22 gennaio 2015 n. 974; 28 maggio 2015 n.11035) che, peraltro, non sembrano aver risolto definitivamente il problema.
Per comprendere la situazione, potremmo immaginare almeno tre ipotesi-tipo:
a) insieme di fabbricati con beni e servizi in comune, la cui gestione è demandata, per una clausola contrattuale, ad un soggetto esterno denominato “consorzio”;
b) serie di condominii autonomi che affidano al “consorzio” la gestione di alcune spese o servizi (per esempio, al fine di ridurre i costi di acquisto o di gestione);
c) potremmo avere anche il caso in cui un consorzio venga costituito allo scopo precipuo di creare, successivamente, beni e servizi da offrire ad un insieme di edifici.
In ipotesi di questo tipo non è sempre agevole stabilire se siamo di fronte ad un consorzio ovvero ad un supercondominio.
Cos'è un consorzio?
In primo luogo occorre stabilire cosa sia un consorzio. Questa figura trova la propria disciplina nel Libro quinto, Titolo X del codice civile intitolato “Della disciplina della concorrenza e dei consorzi” (artt. 2595-2620). In particolare, l'articolo 2602 cc stabilisce che “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.” Occorre precisare subito che il contratto di consorzio non comporta l'assorbimento delle imprese consorziate in un organismo unitario, ma la costituzione di una organizzazione comune a più imprese per lo svolgimento di determinate attività di comune interesse. Strano a dirsi, il concetto moderno di consorzio, visto come mezzo di collaborazione tra imprenditori per abbattere i costi di produzione, rappresenta una evoluzione dell'originaria figura nata per permettere il funzionamento dei c.d. “contratti di cartello” che miravano a limitare la concorrenza a discapito dei consumatori. I “consorzi tra imprenditori” possono essere di vario tipo: obbligatori (art. 2616 c.c.) nel caso in cui il soggetto sia obbligato a parteciparvi a prescindere dalla propria volontà esistendo un atto autoritativo che ne impone la partecipazione; volontari, quando la partecipazione sia, per l'appunto, a base volontaria; con attività interna (artt.2602-2611 c.c.) quando sono preclusi i rapporti con i terzi estranei al consorzio e con attività esterna (artt. 2612-2615 ter c.c.) abilitati ad operare verso l'esterno.
Il consorzio immobiliare
Normalmente viene definito come “consorzio immobiliare” quell'organizzazione creata in fase attuativa del piano di lottizzazione per la realizzazione delle opere infrastrutturali, nel caso in cui vi sia una pluralità di soggetti attuatori. In tale circostanza l'amministrazione preferisce avere un interlocutore unico (per l'appunto il consorzio) piuttosto che i singoli lottizzanti ed al consorzio viene demandato unicamente il compito di realizzare le infrastrutture comuni all'intera lottizzazione. In tale circostanza il consorzio viene creato per rispondere ad un interesse pubblicistico coincidente con la necessità di assicurare all'amministrazione la realizzazione di una serie di opere infrastrutturali quali le strade, gli impianti idrici e fognari generali, l'illuminazione pubblica, parcheggi ecc. In passato poteva accadere che al consorzio venisse affidato anche il compito di provvedere alla gestione e manutenzione dei servizi comuni; tale mandato veniva conferito nell'interesse dei partecipanti alla lottizzazione per evitare che le infrastrutture, in mancanza di adeguata manutenzione e gestione, subissero dei danni e dei naturali deterioramenti.
La riforma riconosce il supercondominio
Il supercondominio nasce quando una pluralità di edifici, costituiti in condomìnii distinti, risultino caratterizzati dall'esistenza di taluni impianti e servizi comuni (quali il viale d'accesso, i parcheggi, i giardini, l'illuminazione, il servizio di portierato, gli impianti sportivi, eccetera).
La Legge n. 220/2012, introducendo l'articolo 1117-bis, dispone testualmente “Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117”. La nuova norma introduce nel nostro ordinamento il “condominio orizzontale” ovvero il “supercondominio”. In definitiva, la riforma, permette di applicare le norme in materia di condominio quando siano presenti dei beni comuni a più corpi di fabbrica costituenti singoli condominii. Ma il supercondominio non esisteva anche prima della riforma? Il supercondominio, in realtà, era stato inventato dalla giurisprudenza per rispondere ad esigenze venutesi a creare nella pratica commerciale senza che, peraltro, esistesse una disciplina specifica. Gli interpreti, in definitiva, avevano fatto una forzatura adattando al caso concreto una norma dettata per disciplinare una fattispecie simile e certamente sovrapponibile ma non del tutto identica.
La Cassazione, all'indomani della riforma, ha definito il supercondominio come “un ente distinto ed autonomo rispetto ai singoli condomìni, ancorché da essi composto, che viene in essere ipso iure et facto al fine di gestire rapporti di accessorietà rispetto a tutti gli edifici condominiali e di proprietà, pro indiviso, di tutti i membri di ciascun condominio” (Corte di Cassazione, Sez. II civ., 26 agosto 2013, n. 19558). Occorre tener presente un elemento essenziale: per la costituzione del supercondominio, non occorre alcun atto formale né da parte dell'originario costruttore né, tantomeno, da parte degli attuali proprietari. Secondo la giurisprudenza, infatti, “ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere “ipso iure et facto”, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti. Si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomìni, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato eccetera) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione” (Cassazione civile, Sez. II civ., 14 novembre 2012, n. 19939). Alla resa dei conti, quindi, non è necessario che l'assemblea deliberi la costituzione del supercondominio perché esso, in definitiva, esiste già, automaticamente, in tutti i casi in cui esistano talune cose, impianti e servizi comuni a più corpi di fabbrica autonomi tra loro.
Iniziamo a porre i primi paletti
Volendo porre i primi punti fermi è subito evidente che il “consorzio immobiliare”, inteso come ente preposto alla realizzazione delle urbanizzazioni ovvero alla gestione degli impianti comuni a più corpi di fabbrica, non può essere in alcun modo paragonato al “consorzio tra imprenditori” che presuppone necessariamente almeno due elementi: la qualifica di imprenditore dei partecipanti e la necessità di creare una organizzazione comune nè, tantomeno, può essere considerato come un “consorzio obbligatorio”, mancando la finalità pubblica e/o la figura dell'ente pubblico.
Il consorzio è demandato a gestire i servizi comuni
L'ipotesi più semplice, ed anche quella più arcaica, è rappresentata dal caso in cui sia stato costituito un consorzio ad hoc a cui, con un contratto specifico ovvero una clausola contenuta nel regolamento di condominio, viene affidata la cura e la gestione di alcuni beni o servizi appartenenti a più condomìnii. Consorzi di questo tipo sono stati costituiti, in genere, a cavallo degli anni '70, in pieno boom economico, per dare una risposta alla necessità di gestire bei beni comuni a più fabbricati quando la figura del supercondominio non aveva ancora avuto uno specifico riconoscimento da parte del nostro Legislatore. In questo caso il consorzio verrà a coincidere, sovrapponendosi, con il supercondominio attualmente disciplinato dall'articolo 1117-bis c.c.. In questo caso, in parole povere, avremo un ente diverso dai singoli condomìnii che gestisce dei beni comuni e che, anche se chiamato “consorzio”, in realtà è un “supercodominio”. A ciò non osta il “nome” attribuito dalle parti (“consorzio” anzicché “supercondominio”) per due ragioni fondamentali. In primo luogo, occorre tener presente che il supercondominio, (così come, del resto, il condominio) si costituisce a prescindere dall'esistenza o meno di un suo specifico riconoscimento. Inoltre, parallelamente, occorre tener presente che la disciplina applicabile ad una data situazione prescinde dal “nome” assegnatole dalle parti. Per intenderci, è irrilevante che le parti abbiano definito un contratto come “testamento pubblico” quando l'atto contenga la vendita di un immobile!
Ma cosa succede quando un “consorzio” è, di fatto, un “supercondominio”? In questo caso entra in gioco l'articolo 1117-bis cc che stabilisce testualmente “Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117.”. In definitiva la norma, nel fissare l'ambito di applicazione della disciplina condominiale, che spazia dall'edificio composto da più unità immobiliari, ai plessi con più edifici, fino ai veri e propri supercondominii, prevede l'applicazione di una disciplina specifica dettata dal codice civile il che vuol dire, in altre parole, che al consorzio saranno applicate necessariamente le norme in materia di condominio (o meglio, di supercondominio) e, di conseguenza, sono nulle tutte quelle clausole dell'eventuale statuto del consorzio in contrasto con la normativa espressamente individuata come inderogabile dall'art. 1138 c.c. e dell'art. 72 disp. att. c.c.
Le regole applicabili
Nel caso in cui la figura del “consorzio” venga a coincidere, sovrapponendosi, a quella del “supercondominio”, saranno applicabili le norme civilistiche dettate per tale ultima figura e, quindi, varranno i principi di immodificabilità, irrinunciabilità e indivisibilità. Saranno applicabili gli articoli 1117-ter e 1117-quater c.c. che richiedendo quorum qualificati per il cambio di destinazione d'uso; l'articolo 1118 c.c., che sancisce il divieto di rinunciare alla proprietà delle cose comuni e quindi, parallelamente, vieta il recesso nonché la possibilità di sottrarsi al pagamento delle quote trattandosi si obbligazioni propter rem ovvero connesse alla proprietà; l'articolo 1119 c.c. che introduce il principio della indivisibilità dei beni comuni il che si traduce nell'impossibilità di una vendita separata salvo il parere unanime dei condomini. A questi quattro articoli fa da corollario l'articolo 1102 c.c. che prevede la libertà di uso da parte del singolo condomino, delle parti comuni dell'edificio.
Il condomìnio affida la gestione al consorzio
Potremmo avere anche il caso in cui uno o più condomìnii, autonomi tra loro, affidino la gestione dei beni e dei comuni ad un consorzio, magari allo scopo di ridurre le spese di gestione. In questo caso la sovrapposizione tra condomìnio e consorzio diventa estremamente più difficile. In linea di massima, in questo caso, il consorzio verrà a coincidere con una specie di associazione non riconosciuta retta da un regolamento interno deliberato dai soci che ben potrà gestire i beni comuni del condominio. Detto in altri termini, avremo un ente, denominato “consorzio” ma che in realtà è una associazione, disciplinato da un regolamento interno che ne individua le regole di funzionamento; in mancanza di una disciplina specifica, ad esso saranno applicabili le norme in tema di associazioni non riconosciute e non quelle in materia di condominio.
Secondo la Cassazione “le disposizioni in materia di condominio non sono estensibili al consorzio costituito tra proprietari d'immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, atteso che i due istituti giuridici, nonostante le numerose analogie, presentano anche caratteristiche diverse che non ne permettono una completa parificazione concettuale: il condominio di edifici è una forma di proprietà plurima, derivante dalla struttura stessa del fabbricato e regolata interamente da norme che rimangono nel campo dei diritti reali, con la conseguenza che il carattere di immobile condominiale è una qualitas fundi, che inerisce al bene e lo segue, con i relativi oneri, presso qualsiasi acquirente; il consorzio, che ha un livello di organizzazione più elevato, appartiene, invece, alla categoria delle associazioni, con la conseguente rilevanza della volontà del singolo di partecipare o meno all'ente sociale, pur potendo tale volontà essere ricavata (se non esiste una contraria norma di statuto o di legge) da presunzioni o da fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio, oppure l'utilizzazione concreta dei servizi messi a disposizione dei partecipanti. In tema di consorzi volontari costituiti fra proprietari d'immobili per la gestione di parti e servizi comuni, la partecipazione o l'adesione ad esso da parte dell'acquirente di un immobile compreso nel consorzio deve risultare da una valida manifestazione di volontà” (Corte di Cassazione, sezione I civ., 28 maggio 2015, n. 11035).
Sempre secondo la Cassazione, quando il consorzio è un'associazione non riconosciuta per aderire alla stessa (e, conseguentemente, per essere obbligati al pagamento delle quote di partecipazione) occorre il consenso del singolo associato a cui non potrà essere vietato il recesso volontario. Salvo che la legge o lo statuto del consorzio-associazione non prescrivano forme particolari, l'adesione e la recesso potranno essere posti in essere senza una forma specifica e, quindi, sarà valida anche la forma tacita. In tale prospettiva, per esempio, l'adesione potrà essere tacita quando il soggetto acquisti un immobile compreso in un consorzio immobiliare ovvero quando utilizzi in concreto servizi posti a disposizione dei consorziati (Corte di Cassazione, Sez. II civ., 30 marzo 2005, n. 6666). Concludendo, quindi, potremmo affermare che, secondo la Cassazione, ove la gestione dei beni comuni venga affidata ad un consorzio, l'acquirente dell'immobile acquisisce la qualità di “socio” mediante una dichiarazione di volontà espressa (contenuta nell'atto di acquisto) o tacita (mediante l'utilizzo dei beni comuni), per cui sarà obbligato a rispettare il regolamento consortile. Ove questo vieti il recesso ed obblighi al pagamento delle quote, l'acquirente dovrà fare buon viso a cattiva sorte.
L'acquirente dell'immobile diventa socio del consorzio?
Il problema di fondo è semplice. Si tratta di stabilire se, la clausola contenuta nel contratto di vendita, con cui l'acquirente si obbliga a partecipare al consorzio e, quindi, a pagare i relativi oneri, sia lecita o meno. Secondo un certo filone giurisprudenziale, sorto ante riforma del condominio, tale clausola sarebbe nulla (Corte di Cassazione, sez. II civ., 4 dicembre 2007, n. 25289) essendo sempre necessario il consenso espresso dall'acquirente, anche quando si acquista un appartamento il cui proprietario ha precedentemente aderito al consorzio. Tale tesi troverebbe il proprio fondamento su una duplice motivazione. Dal punto di vista squisitamente tecnico-giuridico, si parte dal presupposto che l'obbligazione di partecipazione ad un consorzio-associazione e quella correlata di provvedere al pagamento delle spese consortili non è una obbligazione propter rem giacché tali obbligazioni sono caratterizzate dal requisito della tipicità. Per altro verso, a voler ragionare in maniera diversa, non si riuscirebbe a capire come l'acquirente, esprimendo la propria volontà nei confronti del venditore, possa far valere tale propria volontà anche nei confronti di un terzo, ovvero del consorzio (sent.: 14585/04; 6663/05; 6666/05; 19674/06).
Solo dall'adesione al consorzio può derivare, in capo al singolo partecipante, l'obbligo di pagare i contributi o le quote associative, in quanto solo la partecipazione al consorzio può far sorgere l'obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento (Corte di Cassazione, 15 settembre 2003, n. 13537).
Il problema concreto
Per altro verso è pur sempre necessario affrontare un problema concreto. Nel settore immobiliare, spesso e volentieri, viene creato un consorzio per la realizzazione delle urbanizzazioni e dei servizi comuni. Senza tale strumento, non solo non sarebbe possibile provvedere alla realizzazione delle opere ma, cosa ben peggiore, non sarebbe possibile provvedere alla loro gestione e manutenzione. Allora, come risolviamo il problema? Una soluzione, anche se complessa, sarebbe comunque perseguibile ma richiede una serie di passaggi. In primo luogo, andrebbe costituito il consorzio su base volontaria. Successivamente, in fase di trattative tese alla vendita del singolo immobile (e quindi già in fase precontrattuale) sarebbe necessario chiarire all'acquirente che i servizi comuni sono gestiti da un consorzio e che è necessario partecipare a tale organizzazione. A questo punto, chiariti i termini del problema, occorrerebbe fare una sorta di “tringolazione” nel senso che, alla vendita, dovrebbe intervenire anche il presidente del consorzio per raccogliere la dichiarazione di volontà dell'acquirente diretta a partecipare all'organizzazione comune.
Vietata la doppia imposizione
Spesso accade che le infrastrutture realizzate inizialmente dai lottizzanti siano cedute al comune (si pensi, per esempio, ad una strada divenuta di uso pubblico) che, a questo punto, dovrà curarne la manutenzione. La natura giuridica delle infrastrutture comuni ai diversi corpi di fabbrica, in questo caso, subisce un radicale mutamento. Non avremo più dei beni comuni a dei condominii privati gestiti da un ente comune (il consorzio o il supercondominio) a spese dei singoli condòmini ma avremo, invece, un bene pubblico la cui manutenzione grava sul bilancio comunale. In tale ipotesi, pare evidente che i singoli condòmini abbiano tutto il diritto di recedere al consorzio-supercondominio e di rifiutarsi di procedere al pagamento delle quote per il semplice fatto che il bene non più privato.
Per altro verso, parallelamente, il condòmino, quale cittadino e contribuente, contribuirà comunque al mantenimento di quelle infrastrutture ormai pubbliche. In tale ipotesi, quindi, sarà necessario permettere al singolo condòmino di recedere dal rapporto contrattuale con il consorzio-supercondominio in quanto, diversamente, il condomino-cittadino sarebbe sottoposto ad un duplice prelievo: come condòmino (per la manutenzione dei beni inizialmente privati) e come contribuente (per la manutenzione dei beni ora pubblici). E' evidente che, con l'acquisizione dei beni da parte dell'amministrazione comunale i beni , che, inizialmente, erano gestiti nell'interesse di pochi, verranno poi gestiti nell'interesse dell'intera collettività cittadina.
Il consorzio nasce prima del condominio
Potremmo avere anche una ipotesi residuale nel caso in cui un consorzio venga costituito allo scopo di creare beni e servizi da porre a disposizione di diversi edifici. Anche in questo caso il consorzio corrisponderà, alla resa dei conti, ad una associazione non riconosciuta per cui gli obblighi in capo ai singoli soggetti potranno sorgere solo in seguito ad una specifica adesione del singolo partecipante.

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