Condominio

La provocazione «scusa» l’amministratore che insulta un condòmino

di Enrico Morello ed Edoardo Valentino

Assolto l'amministratore che offende il condomino se l'insulto non è grave e se il comportamento dell'amministrato è provocatorio.
La sentenza della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione numero 2646 del 21 gennaio 2016 chiarisce alcuni principi in merito alla responsabilità penale in caso di lite durante l'assemblea condominiale.
In particolare, nel caso in questione, l'amministratore di uno stabile aveva rivolto offese come “sei un analfabeta con grado di cultura zero … hai preso la laurea con i prosciutti” e minacce come “per me questa stanza è troppo grande, mi bastano due metri quadri per non farti uscire più”.
Per tali affermazioni egli era stato processato per i reati di ingiurie (articolo 594 del Codice Penale) e minacce (articolo 612 del Codice Penale).
All'esito del giudizio di primo grado, tuttavia, egli veniva assolto per le condotte ascritte, in parte perché provocato dal condomino e in parte per l'insussistenza del reato (nel caso delle minacce).
Tale decisione, appellata dal condomino, veniva parimenti confermata nel corso del secondo grado di giudizio.
Il condomino, quindi, ricorreva in Cassazione per ottenere la riforma della predetta decisione affermando – in buona sostanza – come il giudice d'appello avesse omesso di riassumere prove testimoniali, affermando che queste avrebbero verosimilmente variato l'esito del giudizio.
La Corte di Cassazione, con una breve ma efficace sentenza, rigettava in toto il ricorso del condomino, confermando così l'esito del giudizio di assoluzione dell'amministratore.
In particolare la Suprema Corte dichiarava manifestamente infondati i motivi di illegittimità dedotti dal ricorrente in merito alla mancata riassunzione delle deposizioni testimoniali acquisite in primo grado, dato che non avrebbe avuto alcuna rilevanza “l'eventuale diverso esito di condanna al quale mirava l'appello proposto dalla parte civile, nel momento in cui detto esito non si verificava e comunque, ove si fosse realizzato, avrebbe individuato in capo alla difesa dell'imputato e non certo quella di parte civile, l'interesse ad eccepire l'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale”.
In merito al secondo motivo di ricorso, ossia, l'impossibilità di assolvere l'amministratore per avere lo stesso risposto ad una provazione del condomino, la Corte affermava come la sentenza di primo grado avesse solo genericamente tratteggiato le affermazioni del condomino e queste, non potendo essere validamente identificate come diritto di critica, dovessero essere considerate alla stregua di provocazioni (in particolare il condomino aveva accusato l'amministratore di scarsa chiarezza nei bilanci e scarsa professionalità, in modo connotato da particolare concitazione).
Da ultimo la Corte confermava quanto valutato dal primo giudice in merito al reato di minaccia, dato che le testimonianze raccolte non avevano chiarito con precisione la minacciosità e il contesto delle frasi affermate dall'amministratore.
La sentenza della Corte di Cassazione presa in analisi, quindi, viene ad affermare l'insussistenza dei reati di minaccia e ingiuria consumatisi a causa di affermazioni offensive proferite durante le assemblee condominiali se queste sono affermate in reazione ad una grave provocazione o se non si raggiunge una prova certa sulla commissione delle condotte.

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