Condominio

La vendita dell’«area sovrastante» non è cessione del diritto di superficie

di Enrico Morello


La Cassazione torna ad occuparsi della questione relativa alla interpretazione della «clausola di vendita dell'area sovrastante» che spesso ricorre nella pratica.
Il caso
Marito e moglie si rivolgevano il Tribunale di Foggia sostenendo di essere proprietari, per averla acquistata con atto notarile, dell'area sovrastante un vano a piano terra. E chiedevano, in particolare, che il Giudice accertasse che tutta l'area sovrastante fosse di loro proprietà, e che quindi il vicino di casa, da loro convenuto in giudizio, non avesse titolo per utilizzare tale area per ristrutturare e sopraelevare il suo immobile. Il vicino, costituendosi in giudizio, si opponeva, richiedendo, in via riconvenzionale, di accertare l'intervenuta prescrizione ventennale del diritto di superficie e di sopraelevazione vantato dagli attori.
Il tribunale di Foggia, nell'accogliere in parte la domanda riconvenzionale proposta dal vicino, rilevava come dal contenuto dell'atto di acquisto degli attori emergesse come essi avessero a suo tempo acquistato non un lastrico solare ma solo il diritto di superficie su detta area, diritto tra l'altro oramai prescrittosi per non uso ultra ventennale.
Contro tale decisione veniva proposto appello: la Corte, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, affermava la proprietà, in capo ai proprietari del pianterreno, dell'area scoperta residuata dalla distruzione del vano soprastante la proprietà del convenuto, il tutto come da atto di acquisto a suo tempo sottoscritto.
In Cassazione
Avverso questa ultima decisione proponeva ricorso in Cassazione il vicino soccombente presentando due differenti motivi di reclamo consistenti: nell'avere la Corte di appello male interpretato la formulazione testuale dell'atto di compravendita, dal quale secondo il ricorrente si sarebbe dovuto dedurre come oggetto del contratto sarebbe «il mero spazio superficiario». Con il secondo motivo di reclamo, viceversa, il reclamante sosteneva che la Corte avesse male interpretato, nel prendere la propria decisione, le risultanze istruttorie della causa.
Nel respingere entrambi i motivi di reclamo, la Cassazione (sentenza 25965/2015, presidente Massimo Oddo e relatore Antonio Scarpa ) rilevava come occorresse anzitutto partire, nel dirimere la questione, dal dato letterario dell'atto di acquisto a suo tempo stipulato dagli attori, con il quale veniva trasferita «l'area sovrastante il vano sito a piano terra (...)».
Secondo la Cassazione, in sostanza, bene aveva fatto la Corte di appello nell'individuare, in base alla operata ricostruzione storica dei luoghi, un area di calpestio un tempo costituita dal pavimento di una parte di abitazione crollata o demolita, la quale rappresenta «il corpus della separata proprietà poi venduta agli attori».
Secondo i giudici di merito, pertanto, con motivazione, ritenuta congrua dalla Cassazione, oggetto dell'atto di vendita era stato il lastrico posto alla sommità del vano terraneo e non lo spazio aereo ovvero la colonna d'aria ad esso sovrastante.
Nel decidere in tal senso, del resto, la Suprema corte ricordava anche alcune proprie precedenti decisioni secondo le quali lo spazio sovrastante il suolo o una costruzione non costituisce un bene giuridico suscettibile «di autonomo diritto di proprietà, ma configura la mera proiezione verso l'alto delle suddette entità immobiliari».
Quel che non è concepibile, conclude il proprio ragionamento la Corte, «è un trasferimento di proprietà dello strato d'aria avulso dall'edificio o dal suolo sottostante» mentre, per converso, «è certamente consentita l'eventualità di frazionare orizzontalmente la proprietà, suddividendola per strati o piani esistenti al di sopra o al di sotto del suolo, in maniera da attribuire a ciascuna frazione della cosa materiale, originariamente unica, dignità di autonomo bene giuridico».

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