Condominio

Anche chi ha votato a favore può impugnare la delibera

di Ettore Ditta

Può sembrare strano, ma anche il condomino che ha votato a favore di una delibera è legittimato ad impugnarla. Naturalmente, però, questo non è ammesso in qualsiasi caso, ma solo quando una delibera è viziata da nullità e l'impugnante dimostra di avere un concreto interesse all'impugnazione, perché la deliberazione assembleare gli causa un apprezzabile pregiudizio.
Questa possibilità non è espressamente prevista dalle disposizioni di legge (l'art. 1137 del Codice civile infatti attribuisce il potere di impugnare la delibera viziata solo al condomino assente, dissenziente o astenuto), ma viene riconosciuta dalla giurisprudenza rilevando che le delibere condominiali fanno parte del diritto sostanziale e non opera quindi la regola, propria della materia processuale, secondo cui chi ha concorso a dare causa ad una nullità non può farla valere in giudizio (Cassazione sentenza n. 9562 del 1 ottobre 1997).
Questi principi sono stati esposti dalla Corte di Cassazione in numerose decisioni (sentenze n. 15042 del 14 giugno 2013; n. 6714 del 10 marzo 2010; n. 17101 del 27 luglio 2006), sottolineando però che l'impugnazione proposta dal condomino che ha votato (non importa se di persona o mediante il proprio delegato) a favore di essa è legittima nei soli casi in cui, senza il consenso di tutti i condomini, venga derogata una disposizione di genere contrattuale contenuta nel regolamento condominiale oppure uno dei criteri previsti dalla legge o dal regolamento contrattuale relativi al riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi di interesse comune.
Può sembrare improprio considerare una delibera non valida per mancanza del consenso di tutti i condomini, quando in realtà è stata approvata col voto favorevole anche di chi la impugna, ma poi si rende conto dei suoi svantaggi. Tuttavia il problema è proprio che la delibera è stata approvata anche dal condomino che poi se ne lamenta, senza però rendersi conto - al momento del voto - dei pregiudizi indesiderati che ne subisce; di conseguenza gli viene ugualmente riconosciuto il diritto di impugnare la delibera da egli stesso approvata, anche se questa soluzione può sembrare contraddittoria. L'esposizione dell'ultima vicenda in cui è stata affermata la legittimazione ad impugnare in capo al condomino favorevole può aiutare a comprendere meglio la questione: l'assemblea condominiale con la sua deliberazione aveva deciso un aumento delle quote millesimali relative agli immobili adibiti ad ufficio, come quello di cui era titolare l'impugnante, con contestuale diminuzione delle quote di tutti gli altri appartamenti dell'edificio e all'adunanza aveva partecipato non il condomino diretto interessato, ma un suo delegato che, con ogni evidenza, non aveva considerato gli effetti negativi, per il delegante, della votazione. In altre parole il condomino che vota a favore della delibera formalmente dà il suo consenso, ma viene tutelato lo stesso dalla legge quando si rende conto, soltanto a votazione avvenuta, dei pregiudizi che subisce da essa. Per questo motivo la giurisprudenza limita le ipotesi di applicazione della regola, distinguendo fra delibere affette da nullità, nei casi in cui a maggioranza vengono stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 del Codice civile o dal regolamento condominiale contrattuale - che richiedono invece il consenso unanime dei condomini - dalle deliberazioni annullabili (come tali impugnabili soltanto nel termine di trenta giorni indicato dall'art. 1137) nel caso in cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, n. 2 e n. 3 del Codice civile, ripartisce in concreto le spese medesime in maniera difforme dai criteri previsti dall'art. 1123. Si deve così concludere che, per negare il diritto all'impugnazione, il consenso, pur essendo stato espresso dal condomino potenzialmente penalizzato dalla deliberazione, deve essere non generico, ma “consapevole” (si potrebbe ricorrere alla formula del “consenso informato”) e che questo aspetto può essere accertato solo quando il condomino, nonostante il pregiudizio che viene a subire, decide lo stesso di non proporre l'impugnazione. In tal modo la giurisprudenza consegue ancora una volta l'obiettivo, caratteristico della disciplina condominiale, di estendere, piuttosto che di restringere, l'ambito della tutela attribuita a ciascun condomino.

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