Condominio

Impugnazione possibile se il revisore boccia il rendiconto

di Diego Aravini

L'articolo 1130 bis del Codice civile, introdotto dalla legge n. 220/2012, dispone che l'assemblea dei condòmini, con la maggioranza prevista per la nomina dell'amministratore, possa «in qualsiasi momento o per più annualità specificamente indentificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio».
Qual è il motivo che ha indotto il legislatore a codificare la facoltà dell'assemblea di procedere in tal senso?
È, difatti, fuor di dubbio che, già prima della riforma, potesse conferirsi ad un esperto l'incarico di verificare la contabilità del condominio.
Come si evince dagli atti della camera dei Deputati («Temi dell'attività parlamentare»), il legislatore ha inteso promuovere una maggior trasparenza e conoscibilità dell'operato dell'amministratore condominiale da parte dei condòmini.
Con l'introduzione del richiamato art. 1130 bis (che individua «una serie di specifiche voci contabili indispensabili alla ricostruzione e al controllo della gestione dell'amministratore da parte di ogni condomino»), ha voluto perseguire tale scopo – di concerto con altre norme –, sancendo la necessità di sottoporre la redazione della documentazione contabile a revisione nell'ipotesi in cui la medesima non sia adeguatamente intellegibile e, dunque, sufficiente a “descrivere” compiutamente l'attività di amministrazione del patrimonio comune.
In definitiva, sembrerebbe che il legislatore abbia inteso uniformare le modalità di redazione della documentazione contabile condominiale (indicando gli elementi imprescindibili del rendiconto) e, contemporaneamente, con l'introduzione della figura del revisore della contabilità condominiale, fornire ai comproprietari di stabili in condominio un preciso strumento di valutazione dell'operato dei rispettivi amministratori (rafforzato, altresì, dalla possibilità, prevista dalla medesima norma, di nominare, negli edifici aventi almeno dodici unità immobiliari, un consiglio di condominio, composto da un minimo di tre condòmini, che svolga funzioni di controllo).
È forse possibile far derivare tale necessità dalla semplice considerazione che la maggior parte del patrimonio immobiliare italiano (se non la quasi totalità) è in regime di condominio e che, pertanto, la considerevole mole di denaro amministrato deve essere oggetto di una rigorosa attività di rendicontazione e, ove occorra, di controllo.
L'attività del revisore deve, però, ad avviso di scrive, ritenersi connotata da scopi differenti a seconda del fatto che la stessa sia tesa a 1) predisporre un rendiconto consuntivo nell'ipotesi in cui il medesimo non sia stato ancora formato (ad esempio, nel caso in cui l'amministratore uscente non lo abbia redatto); 2) verificare la contabilità nell'ipotesi di un rendiconto formato, ma non approvato (si pensi al caso dell'amministratore che lo abbia redatto e sia stato revocato prima che potesse sottoporlo all'approvazione dell'assemblea) ovvero; 3) verificare la contabilità nell'ipotesi di un rendiconto redatto e approvato, dal quale, solo successivamente alla scadenza del termine di cui all'art. 1137, comma 2, Codice civile, emergano criticità nella gestione del patrimonio comune (ad esempio, ammanchi di cassa; inserimento di poste contabili non preventivate; spese urgenti non ratificate; asserite anticipazioni da parte dell'amministratore; ecc.).
Qualora ricorra la prima o la seconda ipotesi, è evidente che l'attività di revisione sia semplicemente volta a consentire al condominio di munirsi del rendiconto da esaminare e, eventualmente, da approvare nella prospettiva di una normale prosecuzione della gestione.
Molto più complessa – ma interessante – è, invece, l'ipotesi n. 3), al verificarsi della quale l'attività di revisione non può che essere tesa ad ottenere il risarcimento del danno arrecato dall'amministratore al condominio attraverso un operato non conforme agli stringenti obblighi di legge.
In tal caso, a nulla rileverà il fatto che la delibera di approvazione del rendiconto consuntivo non sia stata impugnata entro i termini di legge. Difatti, il legislatore, stabilendo che il revisore possa verificare la contabilità afferente ad annualità specificamente identificate – dunque, anche risalenti nel tempo –, sembrerebbe aver implicitamente sancito, limitatamente all'argomento di cui trattasi, l'abrogazione del divieto di impugnare le delibere approvative di rendiconto consuntivo d'esercizio oltre il detto termine perentorio.
Deve, pertanto, ritenersi desueta la giurisprudenza in virtù della quale tale preclusione è superabile solo ove ricorrano vizi di nullità della delibera (per dolo o colpa grave; si vedano le sentenze del Tribunale di Milano, n. 7460/2005 e della Corte d'appello di Milano, del 20 maggio 1992) e non anche vizi di annullabilità (per meri errori contabili).
La cosiddetta “riforma del condominio” potrebbe, pertanto, costringere molti amministratori a trascorrere notti insonni, confidando unicamente nella intervenuta prescrizione dell'azione risarcitoria.

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