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A due anni dalla riforma, le molte cose che non vanno. L’iniziativa di Anaci Padova

di Paolo Alvigini

Il bilancio che può redigersi, a distanza di due anni dalla entrata in vigore della L. 220/2012, conferma le prime impressioni che la legge aveva suscitato sin dalla sua promulgazione, ossia quelle di un intervento legislativo pasticciato, confuso, redatto in pessima lingua italiana, a volte contraddittorio. E Anaci Padova lancia una raccolta di osservazioni e critiche aperta a tutto il mondo condominiale, per poi arrivare a concrete proposte di modifica (cliccare qui per il documento di Anaci Padova).
Soprattutto, però, era da subito apparso chiaro che non si trattava punto di una riforma, nel senso etimologico del termine, quanto piuttosto di un mero tentativo (mal riuscito) di recepire alcuni orientamenti giurisprudenziali, di correggerne altri, senza, tuttavia, che emergesse un disegno preciso del legislatore di dar vita ad una codificazione dell'istituto condominiale al passo con i tempi e con le esigenze che, nei 70 anni precedenti la L. 220/2012, erano emerse.
Né sono valse a migliorare il testo legislativo le correzioni apportate subito dopo la pubblicazione della L. 220/2012, poiché anch'esse sono prive di quel minimo di buon senso che l'esperienza dovrebbe dettare.
Si tratta dunque di una grande occasione perduta; peggio: la riforma ha introdotto la lunga teoria di dubbi interpretativi e quindi attuativi che non sarà affatto facile risolvere e che, comunque, al di là delle pronunce giurisprudenziali che saranno pubblicate di volta in volta, sono destinati a rimanere tali, attesa l'intrinseca equivocità di molte norme.
Questi due anni hanno consentito, come detto, di verificare nel concreto come ci si trovi sovente in presenza di disposizioni legislative di ardua lettura.
Il nuovo Codice è infarcito di (nuovo ulteriore) assemblearismo (artt. 1117 quater, 1120 III° comma, 1122 II° comma, 1122 bis quarto comma e così via) sovente ridondante.
La preferenza data dal legislatore all'organo assembleare, a dispetto della figura e del ruolo dell'amministratore, probabilmente dovuta all'ingombrante precedente giurisprudenziale di cui alle sentenze 18331 e 18332/2010 delle Sezioni Unite della Cassazione, finisce con l'obbligare a più tornate assembleari nel corso dell'anno, con i conseguenti costi e rischi di non raggiungimento delle maggioranze di volta in volta contemplate per le singole deliberazioni.
In particolare, ma solo a titolo esemplificativo, poiché praticamente ogni articolo di legge meriterebbe una critica a sé stante, si annotano le seguenti problematiche principali:
-l'art. 1117 bis allarga la platea delle fattispecie concrete soggette alla legislazione condominiale a casi in cui non è semplice individuare le parti ed i servizi comuni soggetti alla gestione condominiale, imponendo, conseguentemente, una precisa codificazione di essi e della ripartizione dei relativi oneri già in sede di atto di compravendita od in un regolamento condominiale di natura contrattuale.
-L'art. 1117 ter, rimasto comunque solo sulla carta (ovviamente), prevede la modifica delle destinazioni d'uso di beni comuni ove si tratti di “soddisfare esigenze di interesse condominiale”, pur dovendosi prendere atto che il condominio, non essendo ente a sé stante, non può vantare interessi propri, ma solo quelli dei suoi partecipanti.
Sembra comunque difficile superare, con tali modificazioni, ancorché adottate con la forte maggioranza prevista, il divieto di alterazione del decoro architettonico del fabbricato di cui all'ultimo comma della medesima norma.
-L'art. 1117 quater appare tanto inutile quanto ridondante, essendo evidente che ogni attività che incide negativamente ed in modo sostanziale sulla destinazione d'uso di beni comuni può essere combattuta in ogni forma legale.
-L'art. 1118 c.c. quarto comma, nella parte in cui dà luogo al diritto al distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento e di raffrescamento, nel recepire gli orientamenti giurisprudenziali ante legge 220/2012, finisce con creare dubbi interpretativi poiché è evidente che il distacco di una unità dall'impianto centralizzato comporta comunque un (sia pur modesto o modestissimo) aggravio di spese a carico delle altre, di talché una applicazione letterale della norma porterebbe alla conclusione che il distacco è, di fatto, vietato.
-L'art. 1120 c.c. al secondo comma si pone sostanzialmente in alternativa e quindi in contrasto con l'art. 1117 ter, prevedendo maggioranze diverse da quest'ultimo in caso di innovazioni sostanzialmente della stessa portata (es.: creazione di parcheggi).
-L'art. 1122. Si tratta di un'ulteriore norma del tutto superflua essendo evidente che i condomini non possono eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edifici, né pregiudichino la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico.
-L'art. 1129. E' del tutto oscuro il motivo per il quale il numero dei condomini minimo per la necessari età dell'amministratore è stato portato a nove, essendo evidente che l'opportunità, quando non la necessità, della presenza di un amministratore, ben può venire in rilievo anche in presenza di due soli condomini.
Il meccanismo per la nomina dell'amministratore è quanto mai farraginoso prevedendo la nomina, l'accettazione della nomina e la determinazione del compenso, senza codificare tempi e modalità.
L'introduzione al sesto comma della “persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell'amministratore” lascia aperti dubbi circa i poteri ed i doveri di tale soggetto.
L'ottavo comma quando prevede l'obbligo della consegna di tutta la documentazione dell'amministratore cessato al subentrante non specifica il momento in cui tale cessazione si verifica e non è facile determinarlo, tenuto conto sia della prorogatio imperii sia del rinnovo automatico previsto dal successivo decimo comma.
Né si intende come l'amministratore cessato possa continuare ad eseguire attività urgenti, oltre tutto senza diritto ad ulteriori compensi (in contrasto con le norme generali in tema di mandato).
La durata dell'incarico di amministratore, di cui al decimo comma lascia aperta la strada interpretativa a tre ipotesi: l'incarico è annuale e va sottoposto a delibera assembleare annualmente; l'incarico è biennale, atteso il innovo automatico alla prima scadenza; l'incarico è sine die, operando il rinnovo all'infinito.
Sulla revoca dell'amministratore (XI° comma) non si vede quali modalità possa prevedere, in argomento, il regolamento di condominio.
-L'art. 1130. Il tema principale da affrontare sulle attribuzioni dell'amministratore è quello relativo alle condizioni di sicurezza dei beni e dei servizi comuni da inserire nel registro di anagrafe condominiale.
Sarebbe stato opportuno chiarire, attesa l'importanza del tema “sicurezza” che l'amministratore fosse abilitato, automaticamente, a disporre le indagini necessarie al fine di acquisire, una volta nominato, i dati sulla sicurezza ed a tenerli costantemente aggiornati.
Il registro di nomina e revoca dell'amministratore è del tutto inutile.
-L'art. 1130 bis. Appare improprio il richiamo alla “situazione patrimoniale del condominio” essendo evidente che il condominio non dispone di un patrimonio proprio.
-L'art. 1135. L'introduzione di un fondo speciale da costituirsi in caso di opere di manutenzione straordinaria, evidentemente mirata a tutelare il terzo contraente con il condominio ed a stemperare il principio della parziarietà delle obbligazioni enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 9148/2008, appare di difficile attuazione, massimamente in tempi di crisi economica quali quelli che si stanno vivendo.
Sarebbe stato più semplice, anche in relazione a quanto si dirà in appresso circa l'art. 63 disp. att. c.c., affermare chiaramente che le obbligazioni condominiali sono solidali.
-L'art. 1138. Non sfugge, ai cultori della materia condominiale, che, a fianco del regolamento cosi detto assembleare di cui all'art. 1138, esiste il regolamento così detto contrattuale che tante perplessità interpretative ed applicative ha manifestato nel corso degli anni. Sarebbe stato quanto mai utile disciplinarlo legislativamente.
-L'art. 63 disp. att. c.c. Il primo comma prevede che l'amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.
Quali siano i condomini morosi è tutto da determinare: sono quelli morosi con riferimento alla quota di spesa per cui il terzo interpella l'amministratore o, più in generale, chi è moroso verso il condominio?
Rimane aperto il tema circa la possibilità del creditore di richiedere all'amministratore anche i nominativi ed i dati dei condomini non morosi nell'ipotesi in cui volesse cautelare il proprio credito mediante un'iscrizione ipotecaria.
Manca del tutto nella norma la previsione della solidarietà tra acquirente e venditore nel caso di esecuzione immobiliare o di procedura concorsuale, nel senso che l'acquirente dovrebbe essere, ragionevolmente, tenuto alla solidarietà sin dall'avvio della procedura, essendo che gli altri condomini continuano a mantenere il bene caduto nella procedura stessa.
Vien da chiedersi se varrà la pena, da parte del creditore procedente, seguire la procedura prevista dall'art. 63 che lo obbliga ad un iter costoso e farraginoso.
-L'art. 66 disp. att. c.c. Al terzo comma viene previsto che l'avviso di convocazione dell'assemblea debba essere inoltrato agli “aventi diritto” con ciò ingenerando il dubbio che tra costoro debbano essere inseriti anche quei soggetti che, pur non essendo condomini, né nudi proprietari né usufruttuari, godano di diritti personali di godimento sulle unità.
-L'art. 67 disp. att. c.c. Il meccanismo posto in essere dal legislatore per l'assemblea di “supercondominio” nel caso in cui i partecipanti siano più di 60, rende, in molti casi, letteralmente impossibile la gestione ordinaria e la nomina dell'amministratore.
Volendosi seguire l'iter previsto dal terzo comma, si dovrebbero tenere tante assemblee di fabbricato quanti sono questi, ottenere la nomina dei rappresentanti (con la maggioranza di cui al V° comma dell'art. 1136 c.c.!), comunicare all'amministratore del supercondominio i nominativi degli eletti affinché questi possa convocarli.
Non sfugge che anche nel caso in cui un solo fabbricato non provveda alla nomina del rappresentante, si dovrà seguire una procedura lunga e dall'esito incerto, con la conseguenza che altrettanto incerto sarà il caso in cui l'assemblea di supercondominio possa effettivamente tenersi.
Non è dato intendere se l'amministratore di un corpo di fabbrica possa essere designato come rappresentante dello stesso.
Clamoroso appare il contrasto tra quanto previsto al IV° comma “ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera nona posto” ed il principio generale in base al quale il mandatario è tenuto ad eseguire le disposizioni del mandante.
Altrettanto oscuro è chi possa impugnare le delibere assunte dall'assemblea del supercondominio, da quando decorrano i termini per l'esercizio di tale diritto.
La previsione della designazione del rappresentante all'assemblea di condominio da parte dei comproprietari, a norma dell'art. 11106 c.c., di cui al secondo comma, pur rispondendo ai principi generali dettati in materia di comunione, sembra foriera di notevoli complicazioni ogni qual volta l'assemblea della comunione non porvveda o, provvedendo, la deliberazione venga impugnata.
Appare evidente che l'assemblea della comunione potrà designare il rappresentante solo in presenza di una convocazione da parte dell'amministratore, di talché ci si chiede come ciò possa essere formulato ed in quali tempi.
Il V° comma prevede che all'amministratore non possano essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea; evidentemente si ignora che in determinati casi (soprattutto nei condominii allocati in zone turistiche) senza la delega all'amministratore appare difficile raggiungere i quorum costitutivi delle assemblee.
L'ultimo comma, laddove si prevede la solidarietà tra nudo proprietario ed usufruttuario, è destinato a creare non poche diatribe, essendo che il nudo proprietario si troverà ad onorare debiti contratti dall'usufruttuario senza avere in alcun modo partecipato alle decisioni che sono poste a fondamento del credito condominiale, e viceversa.
-L'art. 71 bis disp. att. c.c. discrimina gli amministratori professionisti da coloro che amministrano il proprio stabile, ma senza che vi sia una ragione condivisibile, essendo che l'amministratore di uno stabile, o di un supercondominio, che presenti un gran numero di unità od una particolare complessità edilizia od impiantistica, necessita comunque di un organo gestorio preparato ed in grado di affrontare le problematiche conseguenti all'esercizio di tale ufficio.
Il IV° comma prevede che in caso di cessazione dall'incarico dell'amministratore, per perdita di determinati requisiti, ciascun condomino possa convocare l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore “senza formalità”. Cosa vuol dire?
Si converrà sul fatto che dovranno in ogni caso essere rispettati ide tatti legislativi: dovranno essere convocati tutti gli aventi diritto, dovrà essere formato un ordine del giorno, la convocazione dovrà essere inoltrata in modo e maniera tali da garantire la prova che tutti siano stati notiziati, le maggioranze dovranno essere le medesime.
-L'art. 71 quater, occupandosi della mediazione di cui al D. Lgs. 28/2010 prevede che l'amministratore sia legittimato a parteciparvi solo previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'art. 1136 II° comma, con ciò contraddicendo il principio in base al quale, in molti casi, l'amministratore è legittimato a costituirsi, per conto del condominio, anche in assenza di delibera assembleare (ad esempio nel caso di impugnazione di delibera).
Né si vede come possa l'amministratore comparire avanti il mediatore per richiedere il rinvio previsto dal IV° comma, se non previamente autorizzato.

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