Condominio

Il quesito: nulla la clausola sul numero degli abitanti

Matteo Rezzonico

Da Condominio24

Sono proprietario di diversi appartamenti e gradirei avere delucidazioni sulla nullità del divieto di ospitalità non temporanea da parte degli inquilini, anche se previsto in contratto. Nel caso specifico, al parente di un inquilino il Comune ha concesso la residenza senza alcuna comunicazione al proprietario, in quanto il conduttore ha piena titolarità del diritto d'uso dell'immobile.A fronte di un contratto di locazione nominativo, nel quale è specificato da chi è composta la famiglia, quanti inquilini posso trovarmi nell'appartamento, se è nullo il divieto di ospitalità?

Risposta
Nelle locazioni a uso abitativo "libere", ex articolo 2, comma 1, della legge 431/98 (con durata di quattro anni + quattro), occorre distinguere tra sublocazione (totale o parziale) dei locali e mera ospitalità. Nel primo caso, il conduttore (e sublocatore) e il subconduttore sottoscrivono un contratto di sublocazione, con determinati obblighi. Nel secondo caso, invece, il conduttore si limita a prestare ospitalità, per un determinato periodo, anche lungo, a un amico o a un parente, che non è titolare di un contratto e non versa alcunché a titolo di corrispettivo, salvo un eventuale rimborso spese.Secondo la giurisprudenza, mentre è ammissibile il patto che vieta la sublocazione, deve ritenersi illegittimo il patto che vieti l’ospitalità, con il solo limite del numero di abitanti per superficie previsto nei regolamenti edilizi.Si veda, in questo senso, la sentenza della Cassazione 19 giugno 2009, numero 14343, secondo cui, alla stregua dell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, è nulla «la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia». In ogni caso, il Comune non poteva rifiutare il trasferimento della residenza all’ospite, a norma dell’articolo 43, comma 2, del Codice civile, per il quale «la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale».Si tenga tuttavia presente che le risultanze anagrafiche, da cui risulta la residenza, hanno valore di presunzione semplice, a norma dell’articolo 2729 del Codice civile (si veda, per tutte, Cassazione 10 marzo 1981, n. 1348).

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