Condominio

Se la manutenzione è costosa non sempre vuol dire che è straordinaria

di Alessandro Gallucci

In tema di approvazione del costo definitivo dei lavori di manutenzione di un edificio in condominio e del relativo piano di ripartizione finale, l'aumento (anche significativo) dei costi non è di per sé indice di esecuzione di opere non preventivate e di conseguenza non (sempre) è necessaria la maggioranza prevista dal quarto comma dell'art. 1136 del Codice civile, potendo bastare anche quella semplice connessa alla convocazione nella quale s'è svolta la riunione.
Questa, in breve sintesi, la decisione resa dalla Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 12479 depositata in cancelleria il 17 giugno 2015.
Nel caso di specie un condomino aveva impugnato la deliberazione di approvazione del saldo finale dei lavori e del relativo piano di riparto. Motivo? Il costo definitivo delle opere era circa il doppio rispetto a quello indicato a preventivo e tale variazione, a suo modo di vedere, era indice dell'esecuzione di nuovi lavori; conseguenza di ciò era, a suo dire, la necessaria di approvazione con i quorum previsti per i lavori straordinari di notevole entità, ossia con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea ed almeno 500 millesimi. Cosa che non era avvenuta; dall'ordinanza, infatti, si desume che il piano di ripartizione finale era stato approvato con la maggioranza semplice. Evidentemente l'approvazione era avvenuta in seconda convocazione, giacché la maggioranza semplice della prima convocazione (art. 1136, secondo comma, del Codice civile) corrisponde con quella qualificata richiesta per i lavori straordinari di notevole entità e necessaria, tanto in prima, quanto in seconda convocazione (art. 1136, quarto comma, del Codice civile).
Prima di andare oltre e comprendere i motivi della decisione resa dalla Cassazione, è utile ricordare che il Codice civile non contiene una specifica definizione della nozione di notevole entità. In questo contesto, quindi per comprendere quale sia il significato di questa locuzione è utile guardare alle pronunce giurisprudenziali. Sempre secondo la Suprema Corte, che si esprime così oramai da tempo, la definizione «della “notevole entità” delle riparazioni straordinarie è rimessa, in assenza di un criterio normativo, alla valutazione discrezionale del giudice di merito (al quale chi deduce l'illegittimità della delibera deve fornire tutti gli elementi utili per sostenere il suo assunto); il giudice, d'altro canto, può tenere conto senza esserne vincolato, oltre che dell'ammontare complessivo dell'esborso necessario, anche del rapporto tra tale costo, il valore dell'edificio e la spesa proporzionalmente ricadente sui singoli condomini» (Cass. 26 novembre 2014 n. 25145). La giurisprudenza non menziona le condizioni economiche del singolo condomino, sicché queste devono essere escluse dagli elementi valutativi.
In questo contesto s'inserisce l'ordinanza n. 12479/15. Il costo preventivato dei lavori, in questa controversia, era pari a circa 170 milioni di lire, mentre quello finale ammontava a circa 345 milioni. Per la Corte di Cassazione questo (significativo) scostamento non è di per sé indice dell'effettuazione di lavori differenti da quelli originariamente preventivati. Per i giudici, il ricorso non meritava di essere accolto sia perché «il preventivo di spesa oggettivamente non può tener conto di eventuali “sorprese esecutive”», ma anche perché nel caso che gli era stato sottoposto mancava la prova del fatto che le due categorie di lavori – cioè quelle approvate con il preventivo e con il consuntivo – fossero differenti e di conseguenza che il piano di riparto finale dovesse essere approvato con le maggioranze qualificate di cui all'art. 1136, quarto comma, del Codice civile.
Da tale conclusione si possono trarre i principi sintetizzati all'inizio:
1) è onere di chi ritiene che determinati lavori non fossero preventivati dare prova di tale circostanza e di conseguenza dimostrarne la notevole entità;
2) in assenza di tale prova e o comunque al momento dell'approvazione del consuntivo e del relativo riparto, lo scostamento (anche significativo) tra preventivo e consuntivo non fa sì che per l'approvazione di quest'ultimo si debba ottenere il voto favorevole della maggioranza dei presenti in riunione e almeno 500 millesimi, bastando, in seconda convocazione, il consenso della maggioranza degli interventi e di un terzo del valore millesimale dell'edificio (art. 1136, terzo comma, del Codice civile).
Tale ultimo principio non è stato esplicitato ma è chiaramente desumibile dalla motivazione dell'ordinanza. Più chiaro, in tal senso, fu il Tribunale di Lecce che nel 2012 affermò che l'approvazione delle opere è cosa differente dalla deliberazione sulla contabilità finale e sul relativo riparto «e a tali materie – anche in caso di notevole entità dei lavori – non si estende il quorum deliberativo richiesto per l'approvazione di questi ultimi e dei relativi esborsi» (Trib. Lecce 20 gennaio 2012 n. 159).

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