Gestione Affitti

Vendita annullata ma l’indennità per l’occupazione abusiva va pagata

di Selene Pascasi

Risolto il preliminare di vendita, il pagamento dei canoni da occupazione scatta anche per gli immobili abusivi. Lo puntualizza la Corte di cassazione con ordinanza n. 27485 del 28 ottobre 2019 (relatore Criscuolo).
La lite parte da due coniugi che – promesso un alloggio in vendita – chiedono al tribunale di dichiarare la risoluzione del preliminare di compravendita e condannare il promissario acquirente alla restituzione del bene. Richieste accolte. Viene bocciata, invece, l'ulteriore pretesa di incassare i canoni da occupazione dell'appartamento.
La questione, così, arriva in appello dove viene sancito l'obbligo del convenuto di risarcire – solo per un periodo – il danno da illegittima detenzione. Egli, chiarisce la Corte, dopo la stipula del preliminare non aveva utilizzato l'alloggio a fini abitativi pur avendone le chiavi. A provarlo, il fatto che non fossero stati rilevati consumi di energia elettrica. La sua detenzione, quindi, temporanea e di cortesia, era tesa soltanto a perfezionare la procedura di accatastamento.
Almeno per quel lasso di tempo, perciò, non gli si poteva chiedere nulla. Diversa, la situazione verificatasi dopo gli eventi che avevano “bloccato” la firma del definitivo (accertata abusività dello stabile, pericolo di demolizione e necessità di interventi di manutenzione per renderlo fruibile) visto il suo rifiuto di riconsegnare le chiavi nonostante i numerosi inviti. Per quel periodo, allora, andava riconosciuto il ristoro del danno da mancata fruizione del bene vista l'impossibilità di locarlo a terzi.
Danno che, specificano in appello, andava calcolato non secondo gli indici della libera contrattazione ma – stante l'abusività e le condizioni dell'immobile – alla stregua dei vantaggi che poteva trarne il convenuto. Questi, però, ricorre in cassazione. Il fabbricato era stato costruito in area destinata a verde agricolo di rispetto industria ove vige il divieto assoluto di edificare (tanto che non era stata accolta l'istanza di condono) e quindi quell'immobile non poteva costituire oggetto né di un preliminare di vendita e né di un altro contratto ad effetti obbligatori.
E se non lo si poteva locare, non era tenuto a risarcimenti. Ricorso respinto. I contratti di locazione di stabili abusivi, ricorda la Corte di cassazione, non sono affetti da nullità assoluta. A ribadirlo è una solida giurisprudenza quando rileva – ad esempio con pronuncia di legittimità 22312/2007 – che la natura abusiva del bene locato o la mancanza di certificazione di abitabilità non comportano nullità del negozio locatizio «non incidendo i detti vizi sulla liceità dell'oggetto del contratto» che riguarda unicamente la prestazione. Parimenti per la causa del negozio, viziata irrimediabilmente solo se confligga con l'ordine pubblico. E locare un bene privo di licenza e non condonato non vi contrasta affatto.
Ciò che deve essere lecito, in sintesi, è il contenuto del contratto, ossia la prestazione, e non il bene in se stesso.
Conforta questa impostazione la recente sentenza delle Sezioni Unite 8230/2019, intervenute a marcare la validità del contratto di locazione di immobili abusivi. Disattese, infine, le censure relative alle condizioni dell'appartamento ed al mancato utilizzo trattandosi di particolari già vagliati nel determinare il canone mensile di occupazione e nel delimitare il periodo per il quale era stato riconosciuto il danno. Logica e ben strutturata, quindi, la soluzione della cassazione di “salvare” la pronuncia d'appello confermando, di riflesso, la condanna del ricorrente al ristoro dei danni.

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