Gestione Affitti

Affitti, impedire l’accesso ai locali non è sempre grave inadempimento

di Cristiano Dell’Oste

Se l’inquilino si rifiuta di far visionare l’immobile a un agente immobiliare non scatta necessariamente il «grave inadempimento». Neppure se il contratto prevede in modo esplicito la facoltà della locatrice di ispezionare o far ispezionare i locali. Né se il conduttore ignora la raccomandata, le diffide scritte o le richieste verbali con cui l’agenzia sollecita l’individuazione di tre giorni alla settimana e di una fascia oraria in cui far visionare i locali ai potenziali compratori. Secondo il Tribunale di Benevento (sentenza 934/2019, giudice monocratico Moretti), l’analisi va fatta caso per caso, considerando anche la posizione delle parti.

La posizione del locatore

Nella situazione specifica, il locatore è una società in accomandita semplice (Sas), nella quale l’inquilino riveste il ruolo di accomandante con una quota del 50 per cento. Ragion per cui – nel valutare il caso – vanno soppesate tutte le circostanze. In particolare, secondo il giudice bisogna considerare che:

1. pur con la contrarietà dell’accomandante, la Sas ha il potere di conferire l’incarico per la vendita dell’immobile locato, perché l’atto costitutivo non richiede la maggioranza dei soci per la cessione degli immobili;

2. nella propria veste di socio, il conduttore-accomandante ha un interesse al potenziamento e alla conservazione del patrimonio della Sas. Quindi può senz’altro contestare la volontà di cedere l’immobile, ma solo con gli strumenti “interni” previsti dall’ordinamento (azione di responsabilità contro l’accomandatario, revoca per giusta causa dell’amministratore e così via), senza poter agire “esternamente” contro un eventuale terzo acquirente (Corte di cassazione 17691/2016);

3. nella propria veste di inquilino, il conduttore-accomandante deve attenersi alle obbligazioni contrattuali e quindi il rifiuto di far visionare l’immobile costituisce un inadempimento, ma non «gravissimo», come invocato nel ricorso, proprio per quella che il magistrato considera la «particolare posizione» della parte.

Tutto ciò considerato, il Tribunale respinge la richiesta del locatore, che voleva il contratto fosse dichiarato risolto per grave inadempimento, con contestuale condanna dell’inquilino al rilascio dei locali. Ma, in parziale accoglimento del ricorso, impone al conduttore di consentire l’accesso nell’immobile in due giorni alla settimana (martedì e giovedì, dalle 17 alle 19, previo avviso telefonico).

La clausola generica

Per giustificare l’avvenuta risoluzione del contratto, il locatore aveva invocato anche la clausola risolutiva espressa. In particolare, secondo la pattuizione inserita nel testo contrattuale, «l’inadempimento da parte della conduttrice di uno dei patti contenuti nel presente contratto produrrà, ipso jure, la sua risoluzione». Ma il giudice ritiene questo punto del contratto «nullo per indeterminatezza dell’oggetto», sulla scorta di un orientamento consolidato della Cassazione (tra le tante, sentenze 4796/2016 e 24532/2018). In pratica, con la clausola risolutiva espressa sono le parti a prestabilire che un certo inadempimento è così grave da comportare la risoluzione. Perché questo congegno giuridico possa funzionare, però, occorre che l’infrazione riguardi «una o più obbligazioni specificamente determinate», come rileva la Cassazione 4796 citata: altrimenti, se si parla genericamente di «gravi e reiterate violazioni» a «tutti gli obblighi» contrattuali, si ricade nelle regole generali sull’inadempimento.

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