Gestione Affitti

Affitto, il diniego del rinnovo non va «provato» con l’effettiva necessità del familiare

di Selene Pascasi

Perché il locatore possa legittimamente negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza non è necessario che fornisca la prova dell'effettiva necessità di destinare l'immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma è sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo restando il diritto dell'inquilino al ripristino del rapporto alle stesse condizioni di cui al contratto disdettato o al risarcimento se il proprietario non abbia adibito l'alloggio al fine dichiarato, nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità.
Lo ribadisce la Corte di cassazione con sentenza n. 18947 del 16 luglio 2019 (relatore Iannello). Al centro della questione, la decisione dei giudici di appello di condannare – in riforma della prima pronuncia – le eredi della proprietaria di un appartamento a risarcire circa 20 mila euro all'ex inquilina: la titolare, negato il rinnovo del contratto alla prima scadenza per necessità abitative del nipote, non l'aveva poi adibito a quello scopo visto il trasferimento del ragazzo. Il caso, così, arriva in Cassazione su iniziativa di una delle eredi: la diversa destinazione dell'appartamento non era dipesa da dolo o colpa della defunta che, anzi, aveva eseguito lavori di ristrutturazione proprio in previsione del subentro del nipote. Solo che questi, confermata l'iniziale decisione di prendere in locazione la casa, aveva dovuto optare per una soluzione alternativa per un evento (era stato assunto da uno studio professionale fuori città) assolutamente non prevedibile al momento in cui era stata intimata la disdetta all'affittuaria.
Motivo fondato e accolto, ma non per le ragioni formulate in ricorso. A ben vedere, puntualizza il Collegio, non era emersa alcuna prova né che l'uomo avesse mai utilizzato il bene come dimora né che il prospettato uso futuro dipendesse dall'esecuzione di quei lavori. Circostanze, queste, da cui poteva concludersi che la mancata destinazione dell'appartamento all'utilizzo dichiarato fosse in realtà ascrivibile alla precisa volontà della proprietaria e non ai fabbisogni del nipote. C'era, quindi, un vizio di fondo nell'interpretazione della vicenda.
Peraltro, annota la Cassazione, è noto che nell'ipotesi in cui «il locatore abbia riacquistato, anche con procedura giudiziaria, la disponibilità dell'alloggio e non lo adibisca, nel termine di dodici mesi dalla data in cui ha riacquistato la disponibilità, agli usi per i quali ha esercitato facoltà di disdetta ai sensi del presente articolo, il conduttore ha diritto al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento». Ma ad esser sanzionata con un risarcimento «in misura non inferiore a trentasei mensilità dell'ultimo canone di locazione percepito» è soltanto la mancata destinazione dell'alloggio rilasciato agli usi indicati in disdetta «nel termine di dodici mesi dalla data in cui (il locatore) ha riacquistato la disponibilità». Provvedimenti, quindi, non applicabili al locatore se la tardiva o la mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato ai fini del rilascio siano state giustificate da situazioni meritevoli di tutela e non siano riconducibili a suo dolo o colpa.
Ecco che, intanto, nessun rilievo poteva aver avuto la mancata destinazione all'uso indicato finché era in corso il termine dei 12 mesi e, comunque, la proprietaria era stata liberata dagli addebiti per la sopravvenienza, nel medesimo termine, di fatti meritevoli di tutela e non riconducibili a intenti dolosi o colposi. La Corte di appello, invece, si era ispirata a regole diamentralmente opposte. Da un lato, infatti, aveva attribuito rilievo alla circostanza per la quale – non ancora trascorso il termine di dodici mesi – il bene non era stato destinato all'uso indicato in disdetta. Dall'altro, aveva omesso di valutare l'idoneità della sopraggiunta situazione ad escludere l'imputabilità alla locatrice del mancato uso.
Va, poi, ribadito come il locatore – per poter legittimamente negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza – non sia tenuto a fornire la prova della concreta necessità di destinare l'immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, essendo sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo il diritto del conduttore al ripristino del rapporto alle stesse condizioni del contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento (articolo 3 della legge 431/1998) qualora il locatore non abbia adibito il bene all'uso dichiarato nell'atto di diniego del rinnovo, nel termine di dodici mesi dalla data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità. È su queste basi, allora, che la Corte di cassazione, annullata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia la causa in appello chiedendo ai giudici territoriali di rivalutarla attenendosi alle sue indicazioni.

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