Gestione Affitti

Affitto, legittima la penale per il ritardo nel rilascio

di Selene Pascasi

Il fatto notorio di «irragionevoli tempi per la formazione e l'attuazione di un titolo esecutivo di rilascio» giustifica la clausola che prevede una penale fino al 150% del canone originario se il conduttore non restituisce il bene alla scadenza. L'intento? Indurlo a liberarlo tempestivamente.
Lo ricorda la Corte di cassazione con sentenza 19523 del 19 luglio 2019. Protagoniste, l'inquilina di una casa di lusso situata nel centro storico di Roma e la sua proprietaria. Al termine della prima scadenza, la titolare decide di non rinnovare il contratto perché, si giustifica, era suo figlio ad aver bisogno dell'appartamento.
Il caso, inizialmente affrontato dal tribunale, arriva in appello i cui giudici – riformata in parte la sentenza – condannano la locatrice a risarcire i danni all'inquilina per aver illecitamente omesso di adibire l'immobile ad abitazione del ragazzo ma confermano la prima decisione nella parte in cui aveva escluso la necessità di disporre la riduzione ad equità della clausola penale applicata.
La titolare dell'alloggio, però, non rinuncia a rivendicare le sue ragioni e formula ricorso per cassazione: non spettava a lei provare la concreta adibizione della casa a soluzione abitativa per il figlio perché, marca, è sempre il creditore che reclama un diritto a doverne dimostrare i fatti costitutivi. Motivo bocciato.
L'effettiva destinazione del bene, spiegano a Piazza Cavour, costituisce «una vera e propria condizione per il valido ed efficace esercizio della corrispondente facoltà potestativa del locatore, avendo il legislatore espressamente circoscritto la libertà del locatore di impedire detta rinnovazione alla prima scadenza limitandone la possibilità di esercizio unicamente in presenza di talune circostanze di fatto, tipicamente ed espressamente descritte dalla stessa legge» (articolo 3, comma 1, legge n. 431/1998). Di conseguenza, è onere probatorio del locatore che intenda avvalersi di tale facoltà allegarne i presupposti (Cassazione, sentenza n. 23794/2014).
A reclamare, in via incidentale, è anche l'affittuaria che insiste sulla riduzione ad equità della clausola penale originariamente convenuta. Censura, questa, inammissibile. Si tratta, scrive la cassazione, di una questione di merito legata ad una rivalutazione della vicenda preclusa al giudice di legittimità. Ad ogni modo, sottolinea la Suprema Corte cogliendo l'occasione per fare il punto, la particolare natura dell'immobile (di lusso e posto in un luogo strategico della capitale) e il carattere notorio dei «tempi irragionevoli richiesti per la formazione e la concreta attuazione di un titolo esecutivo di rilascio di un'abitazione» giustificavano la pattuizione di una penale così alta. Era consentita, quindi, e non illecita, la clausola inserita nel contratto locativo che incrementava la “sanzione” per il mancato rilascio del bene del ben 150% del canone originariamente pattuito. Il fine, del resto, è comprensibile: fare in modo che la conduttrice lo restituisca tempestivamente alla scadenza negoziale. Dovevano ritenersi senz'altro corrette, perciò, le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello la quale, peraltro, le aveva supportate con una serie di argomentazioni congrue e immuni da vizi logici o giuridici. Viene, così, rigettato il ricorso della proprietaria e dichiarato inammissibile quello dell'inquilina.

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