Gestione Affitti

Un contratto d’affitto su quattro è a canone concordato

di Saverio Fossati

Nella lunga marcia dei contratti concordati il sorpasso del “canone libero” è ancora lontano ma sembra evidente che, nonostante i rallentamenti, l’appeal della soluzione aumenti: 220 mila contratti a canone concordato stipulati in Italia nel 2018 rappresentano il 24% del totale, nel 2015 erano il 20 per cento, i n base ai dati presentati al convegno Asppi (piccoli proprietari) di Bologna sui 20 anni della riforma delle locazioni . Proprio in quell’occasione Alfredo Zagatti, presidente Asppi, aveva evidenziato come il successo vada soprattutto attribuito alla tassazione “piatta” del 10% sui canoni concordati, che scade al 31 dicembre di quest’anno.

Certo, sinché si perderanno le occasioni dei rinnovi degli accordi comunali tra sindacati inquilini e associazioni della proprietà, in quelle città le percentuali resteranno irrilevanti (a Milano siamo allo 0,8 per cento, comunque quasi il triplo, in percentuale, rispetto al 2015). I dati del Rapporto immobiliare residenziale 2019 danno comunque molte informazioni su cui ragionare.

A Roma, per esempio, dove pure nel 2018 è stato rinnovato l’accordo locale, siamo al 60% (sorpasso avvenuto) e già nel 2015 si sfiorava già il 46 per cento.

La differenti fortune della formula concordata tra le due maggiori città va ricercata in due fattori, di cui però resta difficile misurare singolarmente il peso. La prima è di carattere economico: a Milano (ma forse le cose cambieranno dopo il nuovo accordo locale, sottoscritto tre mesi fa dopo 10 anni) lo scarto tra canone concordato e canone di mercato era talmente alto (meno della metà) da rendere incomparabile il rendimento al netto del peso fiscale. A Roma, invece, la forbice era meno aperta (e ancor meno dopo il nuovo accordo). Va però ricordato che a Milano il boom degli affitti turistici ( si veda l’articolo uscito oggi ) è stato impressionante negli ultimi anni e ha oscurato ancor più l’appeal del “concordato”.

Ma c’è un altro aspetto: la quota di affitto in “nero” che a volte l’inquilino si impegna a pagare. Essendo del tutto esentasse, può anche non essere enorme ma consente di raggiungere, tutto sommato, una redditività netta pari a quella di mercato.

In sostanza, si tratterebbe, per un proprietario che possiede un’abitazione in un Comune in cui lo scarto tra “concordato” e “mercato” sia del 30-35 per cento, di assicurarsi un “nero pari al 25-29 per cento del canone concordato ufficiale. Immaginando un trilocale in zona semicentrale in un capoluogo di provincia di medie dimensioni con canone di mercato di 900 euro e canone concordato di 600 euro, si va in pari con un contatto concordato e 171 euro in nero.

Ormai paradigmatica è Genova: qui il canone concordato prevale largamente sul “mercato” perché a suo tempo lo scarto tra i due canoni era già in partenza contenuto in torno al 20-25 % e la catastrofe immobiliare ha fatto il resto: lo spopolamento e il pesante(e connesso) fenomeno di deprezzamento hanno aumentato vertiginosamente l’offerta, facendo scendere i canoni di mercato sino al livello di quelli concordati e rendendo i primi, per ovvie ragioni fiscali, svantaggiosi (e infatti rappresentano ormai il 19 per cento). Andamenti in lieve controtendenza si registrano a Bologna e Firenze dove però, soprattutto per quest’ultima, vale il ragionamento sulle locazioni turistiche fatto per Milano.

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