Gestione Affitti

L’ex nudo proprietario di una quota deve pagare l’occupazione abusiva per la quota restante dopo il consolidamento

di Selene Pascasi

Se chi è nudo proprietario di una parte di un appartamento lo prende in locazione dall’usufruttuario, il contratto sarà opponibile al titolare purché risulti da scrittura avente data certa anteriore. E ciò, anche in caso di estinzione dell'usufrutto per consolidazione. Tuttavia, per non penalizzare troppo l’altro nudo proprietario (di un’altra parte dell’appartamento) e permettergli di tornare a godere del bene in tempi brevi e, nel contempo, dar modo all'inquilino di trovarsi un'altra sistemazione, il contratto locativo non potrà durare più di cinque anni a partire dall'estinzione del vincolo. Ciò, salvo che non emergano particolari necessità di sociale solidarietà, come potrebbe accadere per le locazioni abitative ristrette al nucleo familiare.
Lo puntualizza il tribunale di Firenze con sentenza n. 2457 del 20 settembre 2018 . La lite nasce dalla decisione di un tale di chiamare in causa la sorella per chiederle circa sessanta mila euro a titolo di indennità per mancato uso della quota di comproprietà della casa di famiglia. Di quell'alloggio, spiega al giudice, non si era potuto servire per anni perché morti il padre e il fratello ne aveva acquisito 1/8 come nudo proprietario ma, una volta scomparsa la madre usufruttuaria e riuniti nuda proprietà e usufrutto, la sorella aveva continuato ad abitarlo senza corrispondergli nulla. Di qui, la pretesa risarcitoria per mancato godimento.
Tribunale e Corte di appello accolgono la domanda ma l'uomo ne formula un'altra tesa ad ottenere anche una quota dell'ipotetico canone di locazione di mercato della casa di cui era comproprietario. La sorella si difende: anni prima, aveva stipulato con la mamma un contratto di locazione mai disdettato per le scadenze seguenti, nonostante il decorso dei cinque anni dalla morte dell'anziana. La sua, quindi, era una detenzione legittima che la liberava da qualsiasi debito. Tesi respinta. Il contratto sottoscritto tra madre e figlia, avendo data certa, era opponibile al fratello e la nuda proprietà si era consolidata con l'usufrutto estintosi spirato il quinquennio. Ed è principio consolidato – ricorda il tribunale – quello per cui il nudo proprietario è soggetto terzo rispetto agli accordi stretti dall'usufruttuario e aventi ad oggetto il bene in questione.
Non solo. Ai sensi dell'articolo 999 del Codice civile, il contratto di locazione stipulato dall'usufruttuario è certamente opponibile al proprietario se risulti da scrittura avente data certa anteriore anche nei casi, come quello processuale, di estinzione dell'usufrutto per consolidazione.
Tuttavia, nella vicenda, mancando l'assenso del nudo proprietario alla durata del contratto come convenuta con l'usufruttuario, il negozio si era risolto per decorrenza dei cinque anni dall'estinzione. A prevalere sulla volontà dei contraenti e sulla circostanza che il vincolo non fosse stato tempestivamente disdettato prima della scadenza sarà, in sostanza, quanto sancito dal Codice le cui norme vogliono offrire al nudo proprietario la possibilità di disporre pienamente del bene e permettere all'inquilino di trovare altro alloggio. Ecco che l'inesistenza di un valido titolo legittimante l'occupazione dell'appartamento da parte della sorella dell'attore non poteva non comportarne la condanna al pagamento dell'indennità di occupazione di pertinenza del fratello per il periodo in cui non aveva potuto disporre liberamente della propria unità immobiliare.
In ipotesi del genere, infatti, come marcato dalla Corte di cassazione 6780/2012, il danno da occupazione abusiva è nel fatto stesso (si presume) «ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus e alla conseguente impossibilità per costui di conseguire l'utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso» e la sua determinazione può operarsi riferendosi al cosiddetto danno figurativo e quindi al valore locativo del cespite usurpato. Si spiega così la logica seguita dal tribunale di Firenze nel condannare la donna (per essa gli eredi, giacché nel frattempo defunta) a risarcire il fratello e pagare spese di causa.

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