Gestione Affitti

Affitto, la clausola risolutiva non può funzionare automaticamente

di Valeria Sibilio

Nelle dispute giudiziarie tra locatore e locatario l'agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede. È quanto è emerso dalla sentenza 220 del 2018, pronunciata dal Tribunale Ordinario di Aosta, nella quale si è esaminato un caso originato dal ricorso depositato dalla proprietaria di un compendio immobiliare, adibito a casa di riposo, nei confronti del proprio locatario, per inadempimento del contratto di affitto, chiedendone la risoluzione del rapporto e la condanna al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese di lite.
La ricorrente esponeva di aver stipulato un contratto di affitto di azienda, con determinazione del canone dovuto in misura crescente negli anni, convenendo che il mancato pagamento, anche parziale, di una sola rata del canone dovuto, legittimasse la risoluzione del rapporto decorsi trenta giorni dalla scadenza pattuita, con conseguente obbligo, per la parte affittuaria, di pagare gli interessi moratori sul dovuto. Per effetto di scissione ed incorporazioni societarie, nella gestione della struttura, si erano succeduti, nel tempo, soggetti diversi, che, per la ricorrente, avrebbero sempre manifestato evidenti difficoltà nel pagamento del canone convenuto. Difficoltà per le quali la societaria locatrice aveva contestato, con lettera raccomandata, il mancato pagamento dei canoni dovuti dal 30.11.2013, sollecitando il saldo immediato dell'importo di euro 83.713,68, oltre interessi e spese legali.
Costituendosi in giudizio, la locataria contestava ogni doglianza, lamentando che, in merito ai ritardi occorsi nel pagamento dei canoni convenuti, pur provvedendo al pagamento dell'importo complessivo di euro 110.613,78, che riduceva il residuo debito ad euro 6.933,13, la parte locataria aveva costantemente provveduto con ritardo od in modo erroneo all'emissione delle relative fatture, ponendo così in grave difficoltà la controparte nel provvedere ai pagamenti. Non solo, ma anche la comunicazione per la quale la locatrice dichiarava di volersi avvalere delle clausole di risoluzione espresse nel contratto, doveva ritenersi inefficace, tenuto conto che una precedente missiva della ricorrente sollecitava una bonaria definizione della vertenza tra le parti. La locataria, inoltre, faceva notare di aver provveduto, nel corso del rapporto, all'ampliamento e a lavori ingenti di potenziamento della struttura, apprestando una struttura socio-sanitaria per utenti affetti da morbo di Alzheimer ed altra per anziani, sostenendo quindi ingenti esborsi per opere di miglioria, investimenti, manutenzione, revisione e potenziamento degli impianti.
La locatrice chiedeva, pertanto, respingersi ogni avversa domanda, l'improcedibilità della pretesa risarcitoria, la condanna della ricorrente al pagamento dell'importo corrispostole in eccesso sul dovuto ed il pagamento in misura pari alle somme versate per i lavori di ampliamento e miglioria realizzati nel complesso in locazione.
Il Tribunale, dopo una verifica periziale dei reciproci rapporti di debito credito tra le parti e la rinnovazione di un tentativo, senza esito, di conciliazione, rilevava che ogni eccezione formulata dalla parte resistente doveva ritenersi superata e comunque infondata. Addivenendo ad una puntuale interpretazione del dettato convenuto tra le parti in sede di stipulazione dell'originaria convenzione tra la locatrice e la locataria, non vi era alcun dubbio sulla validità della clausola risolutiva.
Tuttavia risultava, dall'esame della documentazione in atti, che con lettera raccomandata in data 29.11,2005 la locataria aveva acconsentito ad una modifica contrattuale proposta dalla parte locatrice, accettando l'aumento del canone mensile convenuto nella misura di euro 400,00 a decorrere dal gennaio 2006. Detta modifica contrattuale non risultava, tuttavia, riportata in sede di registrazione successiva del contratto, né portata a conoscenza del soggetto subentrato nel contratto, per cui non poteva ritenersi in alcun modo opponibile all'odierna resistente.
Ai fini della verifica dei rapporti di debito-credito fra le parti all'epoca della comunicazione resa dall'odierna ricorrente in data 19.10.2015, con la quale la locatrice dichiarava “formalmente di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa “ tra le parti, doveva ritenersi che, se da un lato le somme già versate a fronte del convenuto aumento del canone mensile non erano suscettibili di restituzione, poiché corrisposte in attuazione dell'accordo maturato tra le parti originarie del rapporto di affitto, dall'altro 1'accordo modificativo risultava comunque inopponibile all'odierna resistente proprio in conseguenza della sua mancata registrazione.
Emergeva, inoltre, il pagamento dell'importo di euro 110.613,78 a mezzo bonifico bancario, nonché di un ulteriore bonifico effettuato dalla parte affittuaria in data 15.10.2015 per l'importo di euro 4.266,19, con causale dichiarata “pagamento affitto competenza ottobre”. Il C.T.U. aveva rilevato che il pagamento dei canoni risultavano regolari sino alla data del 15/08/2013, per il periodo dal 15/09/2013 al 15/08/2015 e che la parte convenuta aveva pagato tutti i canoni dovuti in un'unica soluzione in data 07/09/2015 e, in considerazione del fatto che una clausola del contratto stabiliva che il pagamento del canone posticipato doveva essere effettuato entro il quindicesimo giorno del mese successivo, risultava un residuo credito in data 19/10/2015 da parte della locataria di euro 3.632,23.
E infatti gli interessi maturati calcolati per il periodo dal 15/09/2013 al 07109/2015 ammontavano ad euro 634,77, quelli di competenza scaduti e non pagati dal 15/09/2013 al 19/10/2015 ad euro 110.612,97, i pagamenti effettuati alla data del 07/09/2015 e del 15/10/2015 ad euro 114,879,97. Risultando i canoni di affitto, alla data del 16/04/2018 regolarmente pagati, sarebbe rimasto, di fatto, da saldare l'importo relativo agli interessi moratori pari ad euro 634,77. Il Tribunale, alla luce di questi dati, rilevava che la comunicazione resa dalla locatrice con missiva in data 19.10.2015, recante dichiarazione “formale” di volersi avvalere della clausola, risultava inefficace ai sensi e per gli effetti ex art. 1456, comma II, c.c. per il quale l'agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell'inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione.
Il Tribunale ha, perciò, rigettato integralmente le domande della locatrice perché infondate e le domande formulate in via riconvenzionale dalla parte resistente, condannando la locatrice al pagamento, in favore della locataria, delle spese del procedimento, liquidabili in euro 12.310,00 oltre accessori di legge, euro 2.559,25 per spese documentate, euro 3.172,00 per spese di perizia e fissando in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

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