Gestione Affitti

Lecito interrompere l’affitto se c’è una buona occasione e il contratto lo prevede

di Valeria Sibilio

L' ordinanza della Cassazione 22284 del 2018 ha evidenziato come, in ambito giuridico, i presupposti contrattuali siano generalmente i principi determinanti per risolvere questioni giudiziarie legate a dispute giuridiche tra conduttore e locatore.
All'origine dei fatti in causa una società che aveva presentato ricorso al Tribunale per ottenere la condanna del conduttore dei propri locali al pagamento dei canoni dall'agosto 2014 alla scadenza naturale del 28/2/2017, oltre all'illegittimità del recesso anticipato, comunicato dal conduttore, rispetto ad un contratto di locazione stipulato in data 7/12/2010. Il conduttore, costituendosi in giudizio, allegava l'assegnazione, da parte del Fondo Immobiliare Pubblico, di un altro immobile in cui trasferire i propri uffici, assegnazione che avrebbe comportato un notevole risparmio di spesa rispetto al contratto di locazione in corso con la società conduttrice, che avrebbe legittimato il recesso, facendo leva sulla clausola n. 2 del contratto nella quale si specifica che il locatario “si riserva la facoltà di recedere in qualsiasi momento dal contratto cui, nell'interesse del pubblico servizio o per altro motivo venisse a cessare in tutto o in parte la necessità dei locali ovvero per il caso in cui altro immobile da utilizzarsi al medesimo scopo fosse acquisito direttamente dal locatario o reso disponibile alla stessa dallo Stato o da qualsiasi altro ente per gli usi specifici, anche a seguito di ristrutturazione e in concessione d'uso governativo a titolo gratuito.”
Il Tribunale accoglieva la domanda del locatore, dichiarando l'assenza dei presupposti per l'esercizio legittimo del diritto di recesso, con particolare riguardo alla mancanza del titolo gratuito della nuova assegnazione, avendo il locatario dichiarato che il nuovo immobile avrebbe determinato una spesa inferiore all'attuale. Il Tribunale condannava la resistente al pagamento dei canoni dal 1/8/2014 al 28/2/2017.
La Corte di Secondo Grado accoglieva invece l'appello del locatario, ritenendo che l'interpretazione fornita dal giudice di prime cure della clausola di cui all'art. 2, comma 2 del contratto non potesse essere condivisa. Al contrario del Tribunale, il giudice d'appello aveva ritenuto corretta l'interpretazione del locatario secondo la quale, nel contesto della clausola, la concessione di altro immobile a titolo gratuito non è un requisito indefettibile della legittimità del recesso, ma una delle sole eventualità possibili, come dimostrato dall'uso dell'avverbio “anche”, che lega, sul piano sintattico la parte della clausola relativa all'acquisizione diretta dei locali da parte del locatario e la disponibilità dei medesimi dallo Stato o da qualsiasi altro ente, con la porzione di clausola che fa riferimento alla concessione d'uso governativo a titolo gratuito.
La Corte d'Appello ha, perciò, dichiarato legittimo il recesso contrattuale del locatario operato con la prima missiva in relazione alla data prevista dalla conduttrice del 31/7/2014, condannando la Società alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza impugnata, eccetto che per il periodo di occupazione senza titolo dell'immobile da parte del locatario dal 1/8/2014 al 25/6/2015 ed ordinando la restituzione di tutti i canoni per il periodo 1/7/2015 in poi. La Corte aveva, inoltre, condannato l'appellata alle spese del doppio grado del giudizio.
Contro quest'ultima sentenza la Società conduttrice proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale resisteva, con controricorso, il locatario.
Con il primo motivo la ricorrente censurava la sentenza richiamando la violazione di norme eterogenee e non tutte pertinenti quali l'art. 12 disp. prel. c.c., e l'art. 1362 c.c., che afferiscono ad oggetti diversi (la legge o l'atto normativo, d'un lato, e l'atto di autonomia privata dall'altro). È evidente che, trattandosi di un atto di autonomia privata, sia pure stipulato tra un soggetto privato ed un'agenzia pubblica, l'unica censura prospettabile era quella delle disposizioni di cui agli artt. 1362 c.c. 1.1 La censura è apparsa, agli ermellini, manifestamente infondata. Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, il giudice si è attenuto al principio della gerarchia dei criteri da utilizzare nell'interpretazione dei contratto ed ha adeguatamente indagato la comune intenzione delle parti ai sensi dell'art. 1362, 1° comma c.c. ritenendo che la medesima fosse nel senso di escludere che il recesso potesse essere legittimo solo in presenza di una disponibilità dell'immobile a titolo gratuito. Il richiamo contenuto nella sentenza ad un contratto preliminare in atti, non pone una questione di gerarchia tra norme sulla interpretazione soggettiva ed oggettiva del contratto. Il richiamo alle dichiarazioni che già le parti trasfusero nel contratto preliminare e che furono poi riportate nella clausola del contratto definitivo, ha consentito al giudice di trarre certezza che la comune intenzione delle parti, espressa nella clausola, fosse proprio quella di ritenere il recesso legittimo in tutti i casi in cui il locatario venisse a disporre di una altra sede, senza le specificazioni indicate dal ricorrente e senza la condizione della gratuità della nuova sede.
Con il secondo motivo, la ricorrente sosteneva che la sentenza sarebbe stata viziata per aver pronunciato oltre i limiti del petitum, non avendo l'appellante, chiesto la declaratoria di legittimità del recesso anticipato ma solo la restituzione delle somme dovutele a seguito di rigetto delle domande proposte dal conduttore. Motivo manifestamente infondato, in quanto la controricorrente ha fatto espresso riferimento ai primi tre motivi dell'atto di appello dai quali risulterebbe evidente che la rilevanza della censure constava nella richiesta di riforma dell'illegittimità del recesso.
La richiesta formulata, dalla locatrice, di rigetto di ogni domanda proposta dalla società conduttrice perché infondata in fatto e in diritto, con conseguente condanna della società alla restituzione in suo favore di tutto quanto indebitamente versato dal 25/6/2015, data del rilascio dell'immobile, fino alla data di pronuncia della sentenza, poteva solo significare che l'appellante intendesse accertare la legittimità del recesso, essendo tale accertamento presupposto indefettibile della richiesta di restituzione dei canoni non dovuti. Ne consegue la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio liquidate in euro 6.000,00 (oltre euro 200,00 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%.

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