Gestione Affitti

Affitti, i danni al momento della restituzione vanno provati

di Valeria Sibilio

La Cassazione, nell'ordinanza 14720 del 2018 , ha esaminato un caso originato dalla causa avviata dai proprietari e locatori di un immobile, dato in locazione all'Inps, i quali ricorrevano, dinanzi al Tribunale della propria città, chiedendo di accertare e dichiarare la responsabilità dell'Istituto di Previdenza, conduttore, per i danni subìti dall'immobile nel corso del rapporto di locazione, quantificati in euro 403.295,03 oltre ad euro 200.000 per canoni relativi al periodo necessario per l'esecuzione e il completamento dei lavori di ripristino, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Inoltre, chiedevano la condanna dell'Istituto al risarcimento dei danni, oltre che per i titoli suddetti, anche per il ritardato rilascio dell'immobile nella misura di euro 51.442,80 quale differenza tra l'importo corrisposto ed il canone ancora dovuto. Istruita la causa con prove testimoniali ed espletamento della perizia, il Tribunale condannava l'Inps al pagamento, in favore degli attori, della somma di euro 140.000, comprensiva di interessi, a titolo di risarcimento del danno, e rigettava le ulteriori domande, condannando l'istituto alla metà delle spese di lite.
In appello i proprietari e locatori dedussero il fatto che il Tribunale non avrebbe tenuto conto del grave inadempimento dell'Inps agli obblighi discendenti dal contratto di locazione ed in particolare all'obbligo di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi dell'immobile per l'uso convenuto e all'obbligo di non deteriorare l'immobile locato e di riconsegnarlo nelle medesime condizioni, ai sensi dell'art. 1590 c.c., in cui lo aveva ricevuto all'inizio del rapporto di locazione. I proprietari deducevano che la sentenza di primo grado doveva essere riformata nella parte in cui non aveva raggiunto la prova della non imputabilità al conduttore del deterioramento dell'immobile, per non aver recepito i criteri di valutazione del danno formulati dal CTU ed aver proposto una soluzione equitativa, per aver rigettato la richiesta di risarcimento danni, per aver omesso di calcolare il danno a titolo di lucro cessante, pari al valore dei canoni di locazione relativi al periodo di almeno un anno, necessario per effettuare i lavori di ripristino nell'immobile.
L'Inps si costituiva resistendo alla domanda, rappresentando che, nel corso del quarantennale rapporto locatizio, il locatore non aveva effettuato alcuna riparazione straordinaria e che il deterioramento era dovuto alla vetustà. Per la Corte d'Appello, rientrava, nelle obbligazioni principali del locatore, quella di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto e restituirla nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta. Inoltre, il conduttore deve prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto e rispondere della perdita e del deterioramento che avvengono nel corso della locazione.
La Corte d'Appello stabiliva che, nella locazione di immobili urbani, il locatore non può pretendere, al termine del rapporto, il risarcimento del danno per spese di riparazioni se non offre la prova dell'uso scorretto della cosa locata da parte del conduttore, mentre spetta al locatore, che agisce per le spese di riparazione dell'immobile che assume dipendenti dall'omessa manutenzione del conduttore, l'onere di dimostrare che si tratti di danni conseguenti all'assenza di manutenzione a suo carico. La Corte d'Appello rigettava il motivo relativo al mancato rispetto del conduttore degli obblighi di legge a suo carico ed accoglieva quello relativo all'applicazione, da parte del giudice di primo grado, dei criteri equitativi, argomentando che la liquidazione equitativa non era legittima in presenza di criteri determinati per il calcolo del danno e riteneva che fossero ricompresi, nella manutenzione ordinaria, gli interventi di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici oltre alle opere necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici. Per la Corte, la sostituzione degli impianti non rientrava nella manutenzione ordinaria e che, anche qualora vi fosse stata un'accurata gestione dei medesimi da parte del conduttore, detti impianti, con il passare del tempo, si sarebbero usurati, indipendentemente dall'uso, per corrosione dei materiali, ponendo la necessità della loro sostituzione anche per adeguamento alle nuove normative di prevenzione. Ai fini del calcolo del danno, aveva parzialmente accolto l'appello principale, condannando l'Inps a pagare la somma di euro 140.714,88 in favore degli appellanti e, tenuto conto della somma di euro 140.000 già versata dall'ente appellato, l'ha condannato al pagamento della residua somma di euro 715,05 con interessi.
Contro tale sentenza, i locatori proponevano ricorso per cassazione affidato a due motivi. Con il primo, per i ricorrenti la Corte, dopo aver premesso come accertato ed incontestato lo stato di degrado e di abbandono dell'immobile, avrebbe tratto conclusioni erronee basando la propria decisione sulla distinzione tra spese ordinarie e spese straordinarie, non adeguata al caso di uso anormale del bene locato. Un motivo infondato in quanto la ripartizione tra spese ordinarie e spese straordinarie era stata già derogata contrattualmente dalle parti in favore del locatore, con la previsione che al conduttore spettasse non la sola piccola manutenzione ma la manutenzione ordinaria, restando a carico del locatore quella straordinaria, per cui non può prescindersi dall'accordo delle parti per valutare chi avrebbe dovuto fare cosa e chi debba essere tenuto responsabile per lo stato di degrado dell'immobile.
La Cassazione ha dato atto della rilevanza del compendio immobiliare in questione, del canone pattuito e corrisposto, della durata quarantennale della locazione, del tipo di attività in esso svolta ed ha attinto alle risultanze delle perizie per calcolare il danno nel rispetto delle previsioni contrattuali secondo le quali i locatori si impegnavano ad effettuare le opere di manutenzione straordinaria, al fine di dare e conservare all'immobile locato la sua rappresentatività, mentre le spese di manutenzione ordinaria erano a carico dell'Istituto. Da quanto esposto la sentenza resiste alle censure dei ricorrenti, sia in quanto basata sulle previsioni contrattuali, sia in quanto adottata in applicazione analogica di norme di legge, quali quelle del Testo Unico dell'Edilizia, che sono pertinenti al caso in esame.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano il fatto che la Corte d’appello avesse stabilito in sei mesi, il tempo per l'esecuzione dei necessari lavori di ripristino dell'immobile, il ricorso alla nozione di “comune esperienza” ed il disattendere immotivatamente le indicazioni del consulente tecnico di parte, secondo il quale il tempo per gli interventi di ripristino non poteva essere inferiore ad un anno. Anche questo motivo è apparso, agli ermellini, infondato. La Corte d'Appello aveva limitato il tempo necessario per l'esecuzione dei lavori riconosciuti a carico del conduttore e aveva proporzionalmente - e non secondo una nozione di comune esperienza - dimezzato il periodo di inutilizzabilità dell'immobile, con esclusione del tempo occorrente per la sostituzione o rifacimento degli impianti, intonaci, pavimenti o servizi igienici. Operando la decurtazione proporzionale, ha conseguentemente ridotto a sei mesi il periodo occorrente per eseguire i lavori di ripristino posti a carico del conduttore.
La Corte ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 5.000,00 oltre € 200,00 per esborsi, più accessori di legge e spese generali al 15%.

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