Gestione Affitti

Affitto a società, la mancata fusione genera crediti a favore di chi ha pagato

di Valeria Sibilio

La Cassazione, con la sentenza 13746 del 2018 , ha esaminato un caso originato dalla notifica, da parte di una società a responsabilità limitata, di due decreti ingiuntivi ad altrettante società, rispettivamente di euro 23.550,44 e di euro 34.705,91, a titolo di corrispettivo del concesso impiego, negli anni dal 1996 al 1999, di svariati locali e connessi servizi siti in un immobile di Milano appartenenti o detenuti in locazione dalla società a responsabilità limitata nell'ambito di un originario progetto di integrazione dei due gruppi societari, perseguito durante quel periodo.
Il Tribunale ritenne che, in mancanza di prova di un contratto di business center intercorso tra i due gruppi societari, il regolamento dei loro rapporti fosse ispirato ad una paritetica divisione delle spese di gestione, in base ad un'intesa del 1995 e che il rilascio dei locali, pure annunciato dalle opponenti per il 1/9/1999, non era avvenuto in quella data, permanendo così il loro obbligo di versare il dovuto fino alla fine dell'anno 1999. Il Tribunale accertò, in favore delle opponenti, a seguito di conguagli tra il dare e l'avere, un diritto restitutorio pari ad euro 58.301,81 ripartito per quote, e revocò i decreti ingiuntivi opposti, condannando, in via riconvenzionale, la società a responsabilità limitata al pagamento delle quote dovute.
La Corte d'Appello rilevava che non vi era una prova di intesa diretta ad anticipare, con decorrenza immediata, l'adozione di un criterio di ripartizione alla pari e che l'espressione “salvo conguaglio”, utilizzata nel contratto, era una clausola di stile, sprovvista di una qualche reale funzione e la cui efficacia doveva ritenersi connessa al futuro realizzarsi della causa concreta del contratto (business center), mentre tra le parti era stato concordato un corrispettivo annuo omnicomprensivo, di cui vi era prova dal 1996 al 1999. In ragione di tale interpretazione, pur avendo le società rilasciato l'immobile alla data del 30/10/1999, doveva ritenersi equo riconoscere, come dovute dalle opponenti, anche le somme relative all'ultimo bimestre dell'anno.
Contro questa sentenza le due società proponevano distinti ricorsi per cassazione, di identico contenuto e differenziati solo per l'ammontare della cifra intimata nella procedura monitoria, affidati a due motivi. Resisteva la società a responsabilità limitata con controricorso.
Nel primo motivo, per i ricorrenti, la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione in quanto il giudice avrebbe qualificato la domanda in modo diverso da quello prospettato dalla s.r.l. ed avrebbe riconosciuto un diritto ed un bene della vita del tutto differenti: risarcimento del danno in luogo del corrispettivo dovuto per il godimento di locali e servizi. Un motivo infondato, in quanto la qualificazione del contratto era stata preceduta dall'interpretazione delle singole clausole, attività rimessa al Giudice del merito. La Corte d'Appello aveva ricostruito la fattispecie alla luce della causa di business center che, pur contemplata quale causa astratta del negozio, non si era poi tradotta in causa concreta del medesimo, in quanto le parti hanno pattuito un corrispettivo forfettario annuo ed avevano fatto un rinvio, puramente di stile, alla definizione di conguagli tra le parti, da realizzarsi qualora l'integrazione dei due gruppi societari si fosse effettivamente realizzata. La Corte aveva valutato che, anche in ragione del comportamento tenuto dalle parti negli anni precedenti il 1999, doveva presumersi un corrispettivo annuo forfettario che, pertanto, non poteva non ricomprendere anche le due ultime mensilità dell'anno 1999, ancorché la causa di tali prestazioni non fosse rinvenibile nella locazione ma in un non meglio identificato titolo risarcitorio in favore della società resistente, dovuto all'incertezza, tenuta dalle ricorrenti, nella fase di liberazione dei locali. Per configurare un vizio di ultrapetizione è necessario che il Giudice interferisca nel potere dispositivo delle parti sancito dall'art. 99 c.p.c., alteri i confini dell'azione e gli elementi obiettivi della stessa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto o attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso. Il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. Il Giudice del merito conserva un margine di apprezzamento in ordine alla qualificazione della fattispecie, sicchè il perimetro del vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., è ridotto dall'operatività di tale principio, dovendo restare sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all'azione esercitata in causa, e di ricercare le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti.
Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della legge, in quanto, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, lo stesso avrebbe dovuto essere convalidato nella sua interezza e non confermato per importi parziali, come deciso dalla sentenza impugnata. Motivo infondato, perla Cassazione. La s.r.l. aveva chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto e il pagamento della somma azionata monitoriamente per i titoli di cui in narrativa o altra maggiore o minore somma che dovesse essere accertata in corso di causa con gli interessi dal dovuto al saldo. Non essendo mai state formulate eventuali clausole di contenimento dell'originaria pretesa, non è ravvisabile alcuna lesione dell'art. 653 ult. co. c.p.c., che prevede espressamente il rigetto totale o parziale dell'opposizione senza vincolare il Giudice ad una convalida integrale. L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario e autonomo giudizio di cognizione, esteso, come tale, non solo all'esame delle condizioni di ammissibilità e validità del procedimento monitorio, ma anche alla fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi di prova addotti da quest'ultimo e contrastati dall'ingiusto. Ne consegue che, qualora il giudice riconosca fondata solo parzialmente un'eccezione di prescrizione deve comunque revocare “in toto” il decreto opposto, statuendo in merito al pagamento degli importi residui del credito, poiché la relativa sentenza di condanna è destinata a sostituirsi, del tutto legittimamente, all'originario provvedimento monitorio, e poiché, ancora, nel giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell'opposizione, l'attore opposto può, altrettanto legittimamente, ridurre l'originario “petitum” senza che ciò costituisca domanda nuova, né in primo grado né in appello.
La Cassazione ha, perciò, rigettato i ricorsi, condannando le società ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in in euro 6.000 a carico della prima, e nell'importo di euro 4.700 a carico della seconda, per ciascuna maggiorate di euro 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali al 15%.

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