Gestione Affitti

Il «condhotel» sfida l’affitto breve

di Adriano Lovera

Un’occasione di rilancio per gli albergatori e una nuova possibilità di investimento per i privati. Il recente Dpcm 13/2018 – pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 6 marzo e in vigore dal 21, che per la prima volta definisce e regola il segmento dei “condhotel” a più di tre anni dalla norma istitutiva (art. 31 del dl Sblocca Italia) – promette di aprire nuovi spazi di mercato a livello immobiliare e turistico e di accelerare il trend delle riqualificazioni edilizie. Anche se non mancano le perplessità.

Finora mancava una norma relativa a queste strutture “miste” – che mescolano camere d’albergo e appartamenti in affitto – gestite da un unico soggetto e con la condivisione di servizi comuni. Una proposta ricettiva sempre più richiesta dai turisti, per ora rara in Italia (benché presente). Il testo normativo ha una particolarità: nasce a tutti gli effetti come decreto “di scopo”, cioè è volto a favorire le riqualificazioni edilizie degli hotel. Infatti non si limita a definire che cosa sia il “condhotel”, ma lo configura essenzialmente come il risultato di una trasformazione edilizia effettuata da esercizi esistenti (vedi scheda a lato).

Gli albergatori che decidessero di riqualificare gli immobili in modo da convertire una porzione della superficie in unità residenziali avrebbero diversi benefici: iter urbanistici semplificati, possibilità di vendere la proprietà degli appartamenti ai privati, così da recuperare risorse, e ingresso nel segmento degli affitti brevi, la cui concorrenza è ormai asfissiante. Il tutto, potendo godere del “tax credit”, il credito d’imposta al 65% in vigore per gli interventi edilizi sugli hotel.

Nei prossimi mesi spetterà alle Regioni emanare specifici regolamenti locali. «Potranno in parte derogare rispetto ai vincoli della norma nazionale», spiega Antonella Ceschi, avvocato, responsabile del real estate presso lo studio Bird & Bird. Come era logico aspettarsi, ad accogliere con entusiasmo la novità sono state le associazioni di categoria degli albergatori, da Assohotel-Confesercenti a Federalberghi, il cui presidente Bernabò Bocca sottolinea una specificità: «Il condhotel può nascere sia dalla trasformazione in appartamenti di una porzione di un albergo esistente, sia dall’aggregazione ad un hotel di un certo numero di appartamenti ubicati nelle immediate vicinanze. Confidiamo che questa seconda modalità agevoli la bonifica del mercato delle locazioni brevi». Tradotto: questa formula potrebbe far emergere dal sommerso molte locazioni brevi, con i proprietari attirati dalla comodità di affidare la gestione degli alloggi a operatori alberghieri, che si incaricherebbero di tutti gli aspetti pratici, dall’accoglienza fino alla segnalazione degli inquilini alla Questura.

«Per un privato che voglia investire le prospettive sono buone. Il prezzo d’acquisto sarebbe in linea con quello di un normale appartamento sul libero mercato, ma i rendimenti attesi sono più alti. Naturalmente si retrocede una percentuale per il servizio all’albergo, ma appartamenti inseriti nei condhotel in media sono affittati a canoni superiori sia rispetto alle camere d’hotel, perché più ampi, sia rispetto a un affitto breve classico, in virtù dei maggiori servizi offerti» aggiunge Ceschi. Servizi, va detto, che il decreto non elenca. L’unica condizione è che ci sia una sorta di portineria/reception unica per clienti, più “servizi alberghieri accessori” che forse le Regioni provvederanno a dettagliare.

Dubbi e perplessità però non mancano. A rilevarle è stata subito Confedilizia, che in una nota punta il dito verso alcune criticità. Prima fra tutte, il decreto prevede la sola modalità di conversione di un hotel esistente, ma sembra lasciar fuori ogni altra casistica, come i condomini residenziali o qualsiasi edificio non ancora legato a una specifica destinazione. Inoltre, l’eccesso di dettagli, come i 200 metri massimi di distanza tra unità e reception, rischiano di diventare un boomerang. Secondo Confedilizia, partendo da un intento nobile, in questo caso favorire le ristrutturazioni alberghiere, il legislatore ha finito per creare un nuovo istituto così particolareggiato che rischia di fare la fine di tanti altri strumenti, «dal leasing immobiliare al prestito vitalizio ipotecario fino al rent to buy, che hanno finora avuto non certo un consistente sviluppo e tanto meno una diffusa applicazione».

E poi, che succede per le strutture già esistenti e attive? All’apparenza sembrerebbero escluse dalla definizione di condhotel: in qualche caso sono hotel con un mix di camere e appartamenti, che magari hanno un diverso rapporto tra camere e alloggi rispetto a quello richiesto. Oppure, edifici al 100% residenziali, ma tutti dediti allo short rent sotto un’unica gestione. «Questi non diventeranno certo fuori legge. Sostanzialmente non vengono toccati – conclude l’avvocato di Bird & Bird –. Tutt’al più adotteranno altre diciture, la più aderente è residence, sempre che le Regioni non decidano di modificare, in senso più ampio, i criteri che fanno includere una struttura ricettiva sotto il cappello condhotel».

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