Gestione Affitti

Il canone d’affitto crescente non dimostra l’evasione

di Luca Benigni e Ferruccio Bogetti

Non basta la pattuizione di un canone di locazione crescente a provare l’evasione del proprietario. Deve quindi essere annullato l’accertamento parziale che partendo da un canone crescente nel tempo richiami un generico collegamento tra il canone di locazione pattuito e le spese e gli adempimenti che l’inquilino deve sostenere nella fase iniziale del contratto. A m aggior ragione se manca la prova che il conduttore abbia eseguito lavori a beneficio dell’immobile e della proprietà e soprattutto se i locali erano perfettamente agibili al momento della loro consegna. Né rileva che - in linea di principio - i lavori di ristrutturazione effettuati dall’inquilino rappresentino un vantaggio per il proprietario e vadano considerati canoni “in natura”. Così la Ctr Lazio nella sentenza 5921/7/17 (presidente Colaianni, relatore Colaiuda).

La vicenda parte il 29 novembre 2006, quando la proprietaria di un immobile lo affitta a una società. Il canone viene fissato, a regime, in 300mila euro annui ma viene modulato, per convenzione tra le parti, in modo crescente: parte da 135mila del 2007 e arriva a 300mila solo nel 2025. L’immobile viene consegnato in buono stato e perfettamente agibile a uso ufficio e la modulazione del canone è motivata con generiche ragioni di spese e adempimenti da sostenere, soprattutto nella fase iniziale, a carico del conduttore.

Motivazioni che non convincono il Fisco che accerta un maggiore reddito imponibile, oltre a sanzioni e interessi.

La proprietaria impugna l’avviso, perché nel contratto era stato pattuito un canone iniziale ridotto «per agevolare la locatrice nella fase iniziale dell’avvio dell’attività». L’ufficio ha ribattuto che i lavori da eseguire sull’immobile, con spese a carico del conduttore, vanno considerati alla stregua di corresponsione del canone e non possono quindi giustificare la riduzione dell’importo indicato nel contratto. Infatti gli interventi di manutenzione effettuati sull’immobile avvantaggiano soprattutto la proprietaria che avrebbe dovuto sostenere direttamente tali spese; inoltre, i lavori eseguiti hanno l’effetto di aumentare il valore e/o la vita utile dell’immobile.

Nonostante queste argomentazioni, la Ctp e la Ctr danno ragione alla proprietaria dell’immobile.

La Ctr, in particolare, ricorda l’orientamento consolidato di Cassazione per cui i lavori di ristrutturazione effettuati in un edificio costituiscono un vantaggio per il proprietario e quindi sono una forma diversa di corresponsione del canone. Pertanto la proprietà non può “abbattere” i canoni percepiti solo perché una parte viene trattenuta del conduttore a titolo di pagamento dei lavori eseguiti nell’interesse del proprietario e a beneficio dello stesso.

Questo principio va però applicato caso per caso. Nella vicenda decisa dalla Ctr, non sussiste alcuna precisa correlazione tra la riduzione del canone e lavori eseguiti dall’inquilino a beneficio dell’immobile e della proprietà. Infatti, il contratto prevede che il canone dal 1° gennaio 2007 sia fissato in 135mila euro. E manca la prova dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione, tanto più che l’immobile era in buon stato e perfettamente agibile al momento della consegna.

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