Gestione Affitti

La clausola «paga e aspetta il rimborso» non impedisce il recesso anticipato dell’affitto

di Andrea G. Moramarco


La clausola «solve et repete» inserita un contratto di locazione ad uso non abitativo non impedisce al conduttore di esercitare la facoltà di recesso prevista dall'articolo 27 ultimo comma della legge 392/1978 nel caso in cui ricorrano gravi motivi. Tale clausola, infatti, con la quale si stabilisce che il debitore non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la sua prestazione, non può comportare per il debitore la rinuncia a servirsi di facoltà legali che non postulano l'inadempimento altrui, come nel caso del recesso previsto dalla legge per gravi motivi. Questo è quanto affermato dal Tribunale di Palermo nella sentenza 1464/2017.
La vicenda - La disputa vedeva contrapporsi una società immobiliare e l'Enel, l'ente nazionale per l'energia elettrica, e aveva ad oggetto un contratto di locazione ad uso non abitativo di un immobile sito in Palermo utilizzato dall'Enel per le sue attività. Era accaduto che dopo la stipulazione del contratto e prima della sua cessazione, l'Enel aveva deciso di esercitare la facoltà di recesso per gravi motivi prevista dall'articolo 27 ultimo comma della legge 392/1978. La società locatrice, da parte sua, contestava la sussistenza dei validi motivi di recesso e, prima ancora, riteneva non possibile per l'Enel avvalersi della facoltà di recesso, in quanto nel contratto di locazione stipulato tra le parti era apposta la clausola solve et repete, ovvero la clausola limitativa delle eccezioni da parte del debitore ex articolo 1462 c.c.
L'operatività della clausola solve et repete - Dopo l'emissione di un decreto ingiuntivo per i canoni non pagati e l'opposizione a questo da parte dell'Enel, la questione arriva dinanzi al Tribunale che spiega il meccanismo di funzionamento e di operatività della clausola solve et repete. Per la società locatrice, la clausola determinerebbe l'inammissibilità dell'opposizione da parte dell'Enel che avrebbe dovuto prima pagare i canoni e poi eventualmente recedere; per la società conduttrice, invece, la clausola sarebbe inapplicabile in caso di risoluzione del rapporto contrattuale in forza dell'esercizio di una facoltà potestativa concessa dalla legge. Ebbene, il giudice siciliano opta per questa seconda soluzione.
Il Tribunale afferma, infatti, che la clausola solve et repete è una clausola diretta impedire le eccezioni del debitore ed ha, tuttavia, «un contenuto fondamentale di diritto sostanziale, come è reso manifesto non solo dalla collocazione della norma nel codice civile, ma soprattutto dagli interessi che essa tutela (assicurare al creditore il soddisfacimento della sua pretesa, senza il ritardo imposto dall'esame delle eccezioni del debitore)». In sostanza, il preventivo adempimento non può essere considerato come un presupposto processuale, la cui mancanza impedisce l'instaurazione di un regolare rapporto processuale. E, dunque, la clausola di cui all'articolo 1462 c.c. è volta soprattutto a garantire da eccezioni dilatorie e non ha un'efficacia totalmente paralizzante: «essa non incide sulla possibilità di far valere la mancata esecuzione, totale o parziale, della controprestazione, ma impedisce di opporre solo l'inesatto adempimento».
In altri termini, conclude il Tribunale, «la clausola solve et repete può paralizzare tutte (e soltanto) quelle eccezioni riconvenzionali originantesi dal sinallagma, quelle, cioè, che traggono motivo dal comportamento dell'attore sul terreno dell'adempimento», ma non può «comportare per il debitore la rinuncia a servirsi di facoltà legali non postulanti l'inadempimento altrui (quale, appunto, il recesso del conduttore per gravi motivi), né gli può impedire di promuovere eccezioni presupponenti l'inesistenza e la non persistenza del rapporto contrattuale (e quindi del credito) per fatti indipendenti dal contegno della controparte».

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