Gestione Affitti

Legittimo l'arbitrato per le locazioni ad uso diverso

di Ettore Ditta

Fonte: Consulente Immobiliare

L'arbitrabilità delle controversie locatizie
Con l'ordinanza n. 14861 del 15 giugno 2017, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che:
- le controversie relative alle locazioni commerciali non rientrano fra quelle non arbitrabili, ai sensi dell'art. 806 cod. proc. civ., dato che hanno per oggetto diritti disponibili;
- l'art. 54 della legge 392 del 27 luglio 1978, che prevede il divieto di arbitrato per le locazioni immobiliari è stato abrogato dall'art. 14, comma 4, della legge 431 del 9 dicembre 1998;
- di conseguenza è valida la clausola compromissoria con cui vengano deferite ad arbitri stranieri le controversie in materia di aggiornamento del canone di locazione di un immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo.
La decisione delle Sezioni Unite, il cui contenuto appare inevitabile nell'attuale contesto normativo, costituisce l'ennesima conferma del rinnovato favore verso l'istituto arbitrale rispetto alla situazione precedente in cui, sebbene senza valido motivo, per lungo tempo il ricorso all'arbitrato è stato frenato o addirittura del tutto impedito in particolare mediante l'applicazione estensiva dell'art. 54 della legge 392/1978.
A dire il vero nel periodo più recente vi sono state delle chiare aperture in senso favorevole all'applicazione dell'arbitrato, così come a favore pure di altri strumenti di soluzione stragiudiziale delle liti locatizie, come è avvenuto per le Commissioni stragiudiziali di conciliazione fra locatori e conduttori istituite ai sensi degli Accordi locali previsti dalla legge 431/1998 come è avvenuto per la mediazione finalizzata alla conciliazione che, ai sensi del D.Lgs. 28/2010, è stata prevista come obbligatoria per le controversie locatizie, costituendo una condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria.
Va ricordato che riguardo alle disposizioni sul procedimento per convalida di sfratto, inizialmente la formulazione dell'art. 661 cod. proc. civ. aveva fatto escludere la legittimità del giudizio arbitrale (Cass., sent. 16 aprile 1958, n. 1249), ma si è poi imposto il principio contrario rilevando che la finalità dell'art. 661 cod. proc. civ., nello stabilire la competenza inderogabile dei giudici togati (che all'epoca erano il Conciliatore e il Pretore) non è di escludere la competenza degli arbitri, ma solo di esonerare da tale attribuzione il Tribunale che altrimenti, nel procedimento di convalida di sfratto, ne resterebbe investito in forza della disposizione generale dell'art. 9 cod. proc. civ. (Pret. Milano, 23 febbraio 1962); successivamente la Corte di Cassazione ha formulato una specifica distinzione di ipotesi (e di disciplina giuridica) all'interno del procedimento di convalida, affermando che i provvedimenti di convalida ex art. 663 cod. proc. civ. e l'ordinanza di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ. appartengono alla competenza esclusiva del giudice ordinario e non sono compromettibili per arbitri, mentre non vi è alcuna preclusione per il deferimento ad arbitri del giudizio di opposizione instaurato dal conduttore a norma degli artt. 665 e 667 cod. proc. civ., dopo che il giudice ordinario abbia negato l'ordinanza di rilascio (Cass., sent. 23 ottobre 1969, n. 3472 e sent. 16 gennaio 1991, n. 387). In epoca ancora successiva alcune decisioni di merito hanno ampliato le possibilità di ricorrere all'arbitrato anche nel procedimento di convalida, seppur ponendosi in contrasto con l'orientamento della Cassazione: secondo Pret. Roma, ord. 12 dicembre 1995, la presenza di una clausola compromissoria in un contratto di locazione di immobili può essere eccepita anche nella fase di cognizione sommaria del procedimento per convalida di sfratto disciplinato dagli artt. 657 e segg. cod. proc. civ. e, se l'eccezione viene accolta, non può venire emessa l'ordinanza di rilascio prevista dall'art. 665 cod. proc. civ.; mentre Pret. Roma, ord. 18 luglio 1996 ha deciso che la presenza di una clausola compromissoria in un contratto di locazione di immobili comporta una preventiva rinuncia delle parti alla competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria che è valida indipendentemente dalla struttura del procedimento azionato e quindi la competenza a giudicare spetta agli arbitri anche quando una delle parti abbia dato inizio al procedimento per convalida di sfratto disciplinato dagli artt. 657 e segg. cod. proc. civ.

La compromettibilità in arbitri
Riguardo invece alla problematica della compromettibilità in arbitri delle questioni relative ai contratti di locazione sottoposti alla disciplina sulla proroga legale, è sempre stata dichiarata nulla la clausola del contratto con cui le parti decidono di assoggettare al giudizio arbitrale le controversie relative al diritto alla proroga legale, prima che tale diritto sia sorto per effetto di disposizione legislativa (Cass., sent. 28 giugno 1956, n. 2353 e sent. 14 luglio 1959, n. 2276); peraltro è stato pure precisato che il divieto di arbitrare si riferisce sia alle controversie attinenti alla proroga, che a quelle relative alla misura del canone di locazione vincolata (Pret. Genova, 16 luglio 1957), anche se in una decisione era stata riconosciuta la legittimità del giudizio arbitrale almeno nell'ipotesi di controversia avente per oggetto l'interpretazione di un contratto di locazione per accertare se tale contratto fosse soggetto al blocco delle pigioni o meno, affermando che si può compromettere in arbitri la questione se un contratto di locazione sia soggetto o meno al blocco delle pigioni (App. Milano, 28 aprile 1950). La Cassazione aveva poi dichiarato la validità della clausola compromissoria, inserita nei contratti di locazione assoggettati a proroga, che riguarda puntualmente le norme che regolano tale proroga al momento della sua stipulazione, non potendo le parti disporre del relativo diritto prima che esso sorga o sia modificato per effetto di disposizioni imperative (Cass., sent. 9 gennaio 1976, n. 42) e anche le Sezioni unite erano intervenute in merito alla normativa vincolistica per affermare che l'art. unico, comma 4, D.L. 426 del 24 luglio 1973, (sull'inefficacia delle clausole di rivalutazione) era riferito ai soli contratti soggetti alla proroga legale prevista dal comma 1 (fino al 31 gennaio 1974) senza estendersi anche ai contratti di locazione con scadenza convenzionale posteriore alla data di tale proroga (Cass., Sez. Unite, sent. 6 aprile 1981, n. 1923), con principio poi ripreso dalla Cassazione con la sent. 24 marzo 1982, n. 1851.
Dopo l'entrata in vigore della legge n. 392/1978 l'interpretazione delle precedenti norme vincolistiche ha causato una applicazione estensiva dell'art. 54 in modo da fare ricomprendere, nel suo ambito di efficacia, pure le questioni inerenti l'aggiornamento e l'adeguamento del canone (Pret. Fidenza, 17 marzo 1983), anche se la Cassazione dapprima ha sostenuto l'applicazione letterale della disposizione e ha dichiarato legittima la clausola compromissoria per tutte le controversie diverse da quelle sulla determinazione del canone, nei limiti più ampi della disciplina codicistica accanto alla quale si pone la legge n. 392/1978 (Cass., sent. 22 luglio 1987, n. 6408), mentre dopo ha affermato che l'art. 54 comporta l'assoluto divieto di sottoporre a giudizio arbitrale la determinazione del canone di locazione, che tale divieto vale per l'arbitrato rituale, per quello irrituale e per qualsiasi forma di arbitraggio, che la nullità colpisce incontestabilmente ogni pronuncia sull'equo canone che non sia determinata dal giudice naturale e che questi principi trovano applicazione anche per la clausola compromissoria che, stipulata prima dell'entrata in vigore della legge n. 392/1978, sia destinata a perfezionarsi e operare dopo l'entrata in vigore della legge dell'equo canone, essendo la legge diretta, senza derogare al principio della irretroattività, a regolare non l'atto generatore del rapporto, ma gli effetti di esso non ancora esauriti (Cass., sent. 10 giugno 1988, n. 3949). In epoca successiva la Cassazione ha chiarito che la previsione contenuta nell'art. 54 della legge 392/1978 non si riferisce alle ipotesi in cui sia stato conferito al terzo l'incarico di determinare, ai sensi dell'art. 1349 cod. civ., il canone di locazione, dato che, in tal caso, il canone viene determinato dal terzo in momento antecedente l'insorgenza di ogni possibile controversia (Cass., sent. 14 maggio 1997, n. 4258).
Il tema dell'arbitrabilità delle controversie locatizie si è poi riproposto con riferimento ai contratti stipulati ai sensi della legge 359 dell'8 agosto 1992 sui patti deroga e, nell'ambito di una procedura di intimazione di sfratto per morosità in relazione ad un contratto di locazione stipulato in deroga ai sensi dell'art. 11, legge 359/1992, è stata riconosciuta la validità della clausola arbitrale inserita nel contratto, ritenendo che la previsione contenta nell'art. 447-bis cod. proc. civ. di attribuzione della competenza al giudice del luogo in cui si trova la cosa non esclude la possibilità che le parti deferiscano alla cognizione arbitrale la soluzione di una controversia relativa ad un contratto di locazione di immobili stipulato ai sensi dell'art. 11 della legge 359/1992 (Pret. Piacenza, ord. 12 marzo 1996). Nello stesso senso è stato ribadito che l'art. 447-bis, comma 2, cod. proc. civ., concernente le controversie in materia di locazione, di comodato e di affitto di aziende, riguarda la sola competenza per territorio del giudice del luogo in cui si trova il bene, sancendo la nullità delle clausole di deroga ad essa, con la conseguenza che non è colpita da detta sanzione la clausola di compromissione in arbitri di una di tali controversie (Cass., sent. 22 maggio 2013, n. 19393).
Dal canto suo la Suprema Corte in più occasioni ha affermato che il divieto di compromettibilità in arbitri stabilito dall'art. 54 della legge 392/1978 con riferimento alle controversie relative alla determinazione del canone, comprende oltre alle controversie per la determinazione del canone in senso stretto anche le controversie concernenti il suo aggiornamento ai sensi dell'art. 24 e dell'art. 32 della stessa legge, nonché quelle sul suo adeguamento ai sensi dell'art. 25 (Cass., sent. 11 maggio 1999, n. 4652; sent. 1 settembre 1999, n. 9211 e sent. 19 febbraio 2000, n. 1914).

La decisione delle Sezioni Unite
Come si è detto al principio, con la recentissima ordinanza n. 14861 del 15 giugno 2017, le Sezioni Unite hanno stabilito che è valida la clausola compromissoria con cui sono deferite ad arbitri stranieri le controversie in materia di aggiornamento del canone di locazione di un immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo, perché si deve ritenere abrogato l'art. 54 della legge 392/1978 (sul divieto di arbitrato per tali controversie) per effetto dell'art. 14, comma 4, della legge 431/1998 anche con riferimento alle locazioni non abitative e, inoltre, perché il carattere inderogabile della disciplina dettata per l'aggiornamento del canone dagli artt. 32 e 79 della legge 392/1978, sebbene sia funzionale ad evitare una elusione preventiva dei diritti del conduttore, non determina l'indisponibilità degli stessi diritti dopo che siano sorti e possano essere fatti valere, con la conseguenza che le relative controversie non rientrano nel divieto di compromettibilità previsto dall'art. 806 cod. proc. civ.
La decisione della Cassazione si riferisce ad un contratto di locazione ventennale ad uso non abitativo, avente per oggetto un villaggio vacanze, sottoscritto fra due società, che conteneva una clausola compromissoria per arbitrato estero. In questa situazione la società conduttrice aveva citato la sua locatrice in giudizio affinché fosse dichiarata la nullità, ai sensi dell'art. 79 della legge 392/1978, della previsione contrattuale relativa all'aggiornamento del canone per violazione delle norme legali - dato che prevedeva l'aggiornamento annuale del canone con riferimento a indici diversi dall'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati previsti dall'art. 32, comma 2, della legge 392/1978 - con la condanna della locatrice alla restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto al dovuto. La società locatrice però si era costituita, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano per effetto della clausola compromissoria contenuta nel contratto di locazione. La società conduttrice, in pendenza del giudizio, aveva allora proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo che venisse dichiarata la giurisdizione del giudice italiano, in quanto sosteneva che la controversia sulle modalità di aggiornamento del canone di locazione non avrebbe potuto essere deferita agli arbitri, neppure internazionali, per effetto dell'art. 54 della legge 392/1978 relativo alla nullità della clausola contrattuale e che, inoltre, l'inapplicabilità della clausola compromissoria per arbitrato estero sarebbe stata determinata dal generale divieto di sottoporre ad arbitri controversie su diritti indisponibili (art. 806 cod. proc. civ.), fra cui si devono ricomprendere quelle concernenti l'aggiornamento del canone, dato l'art. 79 della legge 392/1978 dispone la nullità delle pattuizioni divergenti dalla disciplina legale.
Le Sezioni Unite nella loro motivazione hanno innanzitutto affermato che, la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuire all'arbitrato rituale in conseguenza delle disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5/1994, e dal D.Lgs. 40/2006, comporta che l'eccezione di compromesso si deve ricomprendere nel novero di quelle di rito, perché dà luogo ad una questione di giurisdizione (come già deciso da Cass., Sez. Unite, sent. 25 ottobre 2013, n. 24153; sent. 20 gennaio 2014, n. 1005; Cass., Sez. Unite, 6 luglio 2016, n. 13725).
Passando poi al merito della questione, le Sezioni Unite hanno affermato che la questione della validità della clausola compromissoria va affrontata facendo riferimento all'art. 54 della legge 382/1978, che dichiara nulla la clausola con la quale le parti stabiliscono che le controversie relative alla determinazione del canone siano decise da arbitri e pone, così, un divieto di compromettibilità in arbitri, che comprende non solo le controversie per la determinazione in senso stretto del canone, ma anche quelle relative al suo aggiornamento (come chiarito da Cass., sent. 1 settembre 1999, n. 9211). La Corte ha evidenziato che quindi bisogna stabilire se l'art. 54 (che si trova tra le disposizioni processuali della legge dell'equo canone e riguarda l'intero sistema delle locazioni urbane) sia ancora in vigore per le locazioni ad uso diverso dall'abitazione, anche dopo l'emanazione dell'art. 14 della legge 431/1998, il quale ha abrogato gli artt. 1, 3, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 54, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 75, 76, 77, 78, 79, limitatamente alle locazioni abitative, e 83, e successive modificazioni, della legge 392/1978.
Infatti l'interpretazione letterale consente due diverse letture dell'art. 14:
- la prima, restrittiva, secondo cui l'art. 14 ha abrogato l'art. 54 della legge 392/1978 soltanto per quanto riguarda le locazioni abitative, mentre per le locazioni ad uso diverso dell'abitazione il divieto di devolvere ad arbitri le controversie relative al canone permane;
- la seconda, estensiva, secondo cui l'art. 54 è stato abrogato nella sua totalità.
In proposito la Corte ha osservato che la prima interpretazione si fonda sul rilievo che l'art. 54 è compreso in una serie di disposizioni della legge 392/1978 che poi è seguita, dopo l'art. 79 e la virgola, dalla locuzione introdotta dall'avverbio limitatamente ("limitatamente alle locazioni abitative"); e che la limitazione dell'abrogazione alle locazioni abitative si riferisce a tutti gli articoli della serie, incluso l'art. 54, ma la perdurante vigenza dell'art. 54 per le locazioni ad uso non abitativo viene ammessa nella giurisprudenza della Cassazione (con riferimento alla validità della clausola compromissoria per la locazione di immobile ad uso albergo, Cass., sent. 11 luglio 2007, n. 15470, si è allineata all'orientamento, sorto prima dell'entrata in vigore della legge 431/1998, secondo cui, per le locazioni di immobili urbani disciplinate dalla legge 392/1978, tutte le questioni relative alla determinazione del canone, comprese quelle sull'integrazione e sull'aumento o sull'aggiornamento [artt. 24 e 32] e sull'adeguamento [art. 25] del canone, per qualunque tipo di locazione, non possono essere oggetto di decisione arbitrale per nullità della clausola compromissoria, ex art. 54; e inoltre per una locazione ad uso diverso Cass., sent. 13 marzo 2013, n. 6284 ha deciso che il divieto di compromettibilità in arbitri, stabilito con riferimento alle controversie relative alla determinazione del canone dall'art. 54, non preclude tuttavia agli arbitri – che devono decidere sulla domanda di rescissione per eccessiva sproporzione tra il corrispettivo dovuto al locatore ed il godimento dell'immobile - di confrontare il canone corrisposto in forza di un precedente contratto di locazione e quello della cui sproporzione si controverte, dato che tale valutazione incidentale non ha alcuna incidenza sulla determinazione del canone precedentemente pattuito, che viene in rilievo solo come parametro indiziario della lesione oltre la metà).
Riguardo alla seconda interpretazione relativa all'abrogazione totale del divieto di arbitrato, le Sezioni Unite hanno rilevato che essa considera invece la limitazione dell'art. 14, comma 4, come riferita al solo ultimo articolo della serie (l'art. 79, che prevede la nullità di ogni patto volto a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla legge 392/1978 ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge); e che questa limitazione dell'effetto abrogativo al solo art. 79 trova un elemento di conferma nel rilievo che la stessa legge 431/1998 ha contemporaneamente previsto, all'art. 13, per le locazioni degli immobili ad uso abitativo, una nuova disciplina dei patti contrari alla legge, oltre al fatto che molte delle disposizioni della serie riguardano soltanto le locazioni ad uso di abitazione (come gli artt. 1, 3, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26, compresi nel capo I dedicato alle locazioni di immobili ad uso di abitazione, o ancora gli artt. 60, 61, 62, 63, 64, 65 e 66, relativi alla disciplina transitoria della stessa tipologia di contratti), con la conseguenza che sarebbe superflua, per essi, una specificazione della limitazione dell'effetto abrogativo dal momento che questa già discende pianamente dalla portata stessa delle disposizioni abrogate, che sono nate e hanno operato entro i confini della locazione abitativa.
Inoltre, le Sezioni Unite hanno precisato che l'interpretazione estensiva non si può ritenere preclusa in quanto la disposizione abrogante è contenuta in una legge che si riferisce alla nuova disciplina delle locazioni abitative; e ciò viene confermato dall'ultima parte dello stesso art. 14, comma 4, il quale, dopo l'espressione limitativa, prosegue con l'abrogazione dell'art. 83 della legge 392/1978, vale a dire una norma che, prevedendo la relazione annuale al Parlamento sulla applicazione del regime delle locazioni, riguarda in modo indifferenziato l'intero sistema delle locazioni di immobili urbani sia abitative che diverse.
La conclusione dell'esame del testo dell'art. 14, comma 4, della legge 431/1998, riguardo all'art. 54 della legge 392/1978, consente entrambe le interpretazioni individuate, ma – osservano le Sezioni Unite - nell'alternativa lasciata aperta dal testo il giudice deve seguire l'interpretazione che consente di armonizzare le due distinte sfere della legalità, quella legale e quella costituzionale e rientra tra i suoi compiti la ricerca, già in sede di applicazione della legge, di interpretazioni non in contrasto con la Costituzione; e per questo motivo le Sezioni Unite hanno deciso che l'interpretazione conforme alla Costituzione impone di scegliere l'interpretazione estensiva dell'art. 14, comma 4, della legge 431/1998, che comporta l'abrogazione totale dell'art. 54 della legge 392/1978, tenuto conto che, nella impostazione originaria dell'art. 54, la previsione della nullità della clausola compromissoria esprimeva l'esigenza di tutelare il contraente più debole contro l'eventuale imposizione, da parte di quello più forte, di clausole contrattuali volte a sottrarre le future controversie relative alla determinazione del canone alla giurisdizione ordinaria e alle relative garanzie, esigenze cessate dopo che, terminato il sistema dell'equo canone, il legislatore del 1998 ha ritenuto cessata anche la ratio che assisteva la previsione del divieto di clausola compromissoria e ha offerto alle parti del contratto di locazione la possibilità, nell'esercizio della loro autonomia privata, di devolvere ad arbitri la decisione della controversia sul canone; per questo motivo sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., continuare ad escludere il ricorso alla giustizia arbitrale per le locazioni ad uso diverso dall'abitazione, dove il conduttore è un imprenditore o un professionista e quindi un soggetto di norma meno bisognoso di tutela rispetto al conduttore nelle locazioni ad uso di abitazione.
In secondo luogo le Sezioni Unite hanno escluso pure che l'ostacolo al deferimento delle locazioni diverse in arbitrato estero sia rinvenibile nel generale divieto di far decidere da arbitri controversie su diritti indisponibili, ai sensi dell'art. 806 cod. proc. civ. in riferimento al fatto che la disciplina delle locazioni urbane ad uso diverso dall'abitazione, sebbene consenta la libera determinazione convenzionale del canone locativo, è tuttavia caratterizzata dalla presenza di una disciplina inderogabile con riguardo proprio all'aggiornamento del canone, che comporta la nullità, ex art. 79 della legge 392/1978, delle clausole che abbiano lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, con elusione dei limiti quantitativi posti dall'art. 32; in proposito le Sezioni Unite hanno osservato che la sfera dell'indisponibilità dei diritti non coincide con l'inderogabilità delle norme che li regolano, dato che il secondo insieme è più ampio del primo e l'inderogabilità delle norme poste a tutela di determinati interessi non implica necessariamente l'indisponibilità delle situazioni giuridiche soggettive che vi sono sottese (e ciò è stato già deciso da Cass., sent. 20 settembre 2012, n. 15890, in relazione alla controversia sulla nullità della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata, in relazione all'omessa convocazione del socio, e da Cass., sent. 13 ottobre 2016, n. 20674, sulla non compromettibilità in arbitri della la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione), mentre in tema di locazioni è stato deciso che la disciplina cogente riguardo all'aggiornamento del canone, se importa la nullità delle pattuizioni difformi dal paradigma legale (Cass., sent. 10 novembre 2016, n. 22908 e sent. 25 maggio 2017, n. 13139), prefigura una indisponibilità proiettata in futuro, rivolta ad evitare una elusione preventiva dei diritti del conduttore, ma non esclude la possibilità di disporne una volta che gli stessi siano sorti e possano essere fatti valere (Cass., sent. 9 novembre 2006, n. 23910; sent., 24 novembre 2007, n. 24458; sent. 25 febbraio 2008, n. 4714 e sent. 30 marzo 2012, n. 5159), con la conseguenza che va escluso che la controversia relativa a una locazione diversa sia ricompresa tra quelle non arbitrabili perché hanno per oggetto diritti indisponibili, ai sensi dell'art. 806 cod. proc. civ.

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