Gestione Affitti

Sfratto, le questioni di merito sono riservate ai giudici di primo e secondo grado

di Valeria Sibilio

Un’officina, conduttrice di un immobile locato ad uso non abitativo, viene convenuta a giudizio, con sfratto per morosità, dalla Società immobiliare proprietaria del locale. Ricorrendo in Tribunale, l'officina invoca un articolo del contratto stipulato con l'immobiliare il quale prevedeva la risoluzione dello stesso in caso di mancato conseguimento delle concessioni, autorizzazioni e licenze indispensabili per l'attività economica dell'officina. Inoltre, si prevedeva il rimborso della spesa di euro 56.000, sostenuta per le opere di ristrutturazione e per rimettere a norma il capannone.
Il Tribunale, pur pronunciandosi per la risoluzione del contratto e per il rilascio dei locali da parte dell'officina, condannava l'immobiliare locatrice alla sola restituzione del deposito cauzionale, compensando le spese.
Anche in Appello, le richieste dell'officina venivano rigettate, nonostante quest'ultima avesse dichiarato che il suo capitale sociale era stato sottoposto ad un sequestro penale. Il ricorso in Cassazione non mutava la sentenza. Avendo l’officina adombrato che il sequestro penale anticipato sarebbe l'intero capitale della società, la Cassazione osserva che il sequestro delle quote di una Srl non determina un fenomeno successorio, né il venir meno della sua personalità giuridica. Inoltre, la documentazione presentata dava conto di un sequestro non ai danni della società immobiliare locatrice, bensì del suo amministratore quale persona fisica.
Anche le presunte violazioni, lamentate dalla officina ricorrente, inerenti le clausole contrattuali, non trovavano fondatezza giuridica. Per la Cassazione, l'interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito e risulta insindacabile se motivata e rispettosa dei canoni legali di ermeneutica. Non avendo presentata alcuna documentazione che precisasse in quale modo e con quali considerazioni il giudice avrebbe violato o si sarebbe discostato dai canoni legali, le richieste della ricorrente (l’officina) sono state qualificate inammissibili. Pertanto, con sentenza 14638 del 2017, la Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando l'officina al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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