Gestione Affitti

Affitti non residenziali, vietati gli aumenti del canone

di Luana Tagliolini

Nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 32, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'articolo 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto (Cassazione, sentenza n. 8669/2017).
Con tale principio di diritto la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso nella parte in cui la società, conduttrice di un immobile locato ad uso non abitativo, impugnava la sentenza della Corte di Appello perché, in riforma della decisione di primo grado (che aveva condannato il proprietario dell'immobile, alla restituzione dei maggiori canoni di locazione da essa attrice pagati sulla base di un accordo dichiarato nullo ai sensi dell'articolo 79 della L. 392/1978), aveva stabilito che gli accordi modificativi del canone iniziale, intercorsi nel corso del rapporto <<pacificamente accettati dal conduttore che ha effettuato i pagamenti nelle misure richieste>> non potevano considerarsi nulli, in quanto non elusivi della previsione dell'art. 32 citato.
L'accordo rivestiva la forma di una transazione, con cui le parti <<facendosi delle reciproche concessioni, regolano nuovamente i loro interessi, rinunciando il locatore al diniego alla rinnovazione del contratto a fronte di un aumento del canone>>.
Di diverso avviso la Corte di Cassazione la quale, richiamando un insegnamento ormai consolidato, ha ribadito che nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto, non già l'aggiornamento del corrispettivo per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta o per gli adeguamenti ISTAT (articolo 32, cit.), ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'art. 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto (Cassazione, sentenze n.10286/2001, n. 2932/2008, n. 2961/2013).
Se il diritto alla ripetizione della somme pagate in violazione dei limiti e divieti di legge (articolo 79 cit.) può essere fatto valere dal conduttore anche dopo la riconsegna dell'immobile, ne deriva che <<non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti>>, perché simile rinuncia, espressa o tacita, appare “inconciliabile” con detta facoltà di ripetizione.
Precisano, infine, i giudici di legittimità che pur volendo considerare l'accordo una transazione è ugualmente nulla sia perché finalizzata a raggiungere un risultato non consentivo dalla legge sia perché aveva ad oggetto un diritto indisponibile.
Le parti, infatti, non volevano un nuovo contratto ma la prosecuzione di quello esistente con l'unica differenza costituita, appunto, dall'aumento del canone per evitare che il locatore si attivasse per il rilascio dell'immobile.
Il locatore, in effetti, non aveva alcuna intenzione di proseguire nella locazione se non a patto di un notevole aumento del canone alla prima scadenza e non era da escludere che il conduttore fosse stato convinto a sottoscrivere l'accordo <<sotto la pressione psicologica ed economica costituita dal rischio di perdere l'immobile locato>>.

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